Le opere "Notte a Menfi" Notte a Menfi (1968) è una cantata in sette parti per mezzosoprano, coro maschile (su nastro magnetico) e orchestra su liriche dell'antico Egitto tradotte da Anna Achmatova e Vera Potapova. I testi sono tratti dalla raccolta Lirika drevnego Egipta (Liriche dell'antico Egitto, Mosca 1965). La cantata ha avuto la sua prima esecuzione in concerto soltanto in periodo di perestrojka, nel 1989 a Mosca e con scarso successo. La prima e autentica "rappresentazione" si è avuta in realtà a Sverdlovsk, in occasione del festival musicale dedicato a Sofija Gubajdulina, nel gennaio 1990, vale a dire 22 anni dopo la sua creazione (direttore Jurij Niko-laevskij; solista Elena Dolgova). Le problematiche universali esposte da Gubajdulina in questa cantata orientale sono quelle già avanzate dal sinfonismo europeo, soprattutto del xix-xx secolo, nelle opere di Cajkovskij, Mahler e Sostakovic. Il carattere tragico di tali problematiche, tuttavia, viene come ad attenuarsi grazie all'introduzione della poesia lirica, della tematica femminile e della vocalità: il destino di un sentimento individuale sommerso dall'irreparabile confronto tra amore e abbandono assume le dimensioni dell'irreparabile collisione tra la vita e la morte. Gubajdulina, attenta alle meditazioni filosofiche dei lirici citaredi dell'antichità, offre all'interno della sua concezione artistica un finale consolatorio, sincero e originale. Benché nella lirica dell'antico Egitto fosse già comparso il motto "ogni uomo è mortale", motivo destinato a riproporsi in tutta la letteratura mondiale e presente anche nel testo su cui è basato il finale di Notte a Menfi, gli egizi erano ben lontani dal preferire la vita ultraterrena all'esistenza terrena e sognavano il ritorno nel florido mondo che li circondava. Mescolando versi egizi e russi, Gubajdulina ha creato una tensione tragica che aumenta per tutta l'opera per poi risolversi e scomparire nel finale. Il dramma è esposto nella seconda parte, ponendo in contrasto il coro maschile, extra personale, «I nostri colpi regolari sono per te» con il canto del mezzosoprano, personale, «Il cielo si è confuso con la terra / Sulla terra è calata un'ombra [...] poiché con un muro hai separato me e te». Lo sviluppo del dramma avviene nella quarta parte, con l'ulteriore contrapposizione tra personale ed extrapersonale: mezzosoprano «A chi potrò confidarmi oggi?» - coro maschile «Oh tu, regina di serti, sovrana dei nostri girotondi». Il dramma raggiunge il suo acme nella sesta parte («Oggi la morte mi appare guarigione da un morbo»). La settima parte, l'ultima, rappresenta il momento risolutivo, con la saggia rassegnazione alla doppiezza del destino umano, l'accettazione della vita nonostante la sua caducità e la dissoluzione delle sofferenze umane nella bellezza di un giorno a venire: «I lamenti non salvano dal sepolcro, perciò gioisci di questo giorno di bellezza e non ti affliggere». 153