Henze
perniciosi allo stesso modo delle crudeltà dei personaggi che Bond pone di fronte al presente come uno specchio.
Comporre sul libretto di We come to the River è stato un processo di apprendimento; la composizione stimola sempre apprendimento, comprensione, intuito. Ma definire questo particolare processo di apprendimento significa, allo stesso tempo, parlare delle lotte che si verificano nel mondo, dei conflitti morali degli individui non meno che della sofferenza e miseria di milioni di uomini oppressi e sfruttati. I potenti, i violenti, i militari di cui tratta questo lavoro sono gli stessi che incontriamo nelle strade, nelle hall degli alberghi e nei notiziari televisivi. I deboli e i poveri sono coloro la cui vulnerabilità e condizione inerme si tramuta in forza, diventa un'energia che trasforma il mondo. L'esempio più chiaro negli ultimi anni è stato il Vietnam, dove dopo trent'anni di guerra un popolo è riuscito a liberarsi da una superpotenza imperialista.
Tutto ciò accadeva mentre stavo lavorando al River ed ebbi la sensazione che questa vittoria rafforzasse gli eroi umiliati di cui quest'opera tratta. La realtà veniva in loro soccorso, dava loro solidità. La musica che destinavo a questa umanità non era più la voce di chi condivideva le loro sofferenze, ma quella di una identificazione gioiosa colma di amore e orgoglio, il suono di una nuova certezza e determinazione; un atto semplice, tenero e ben delimitato, che si oppone alla follia del nostro tempo, al berciare della reazione, e li rifiuta per protendersi verso una nuova era di ragione e fratellanza.
La realtà ha provveduto anche materiale a sufficienza per la rappresentazione della parte avversa. Qualche mese prima che iniziassi a comporre (le prime bozze portano la data del 14 gennaio 1973) ebbe inizio la sconvolgente dittatura fascista in Cile. Migliaia di rifugiati vennero accolti a Roma e nei dintorni. Ricevemmo notizie di prima mano sugli squadroni della morte, i campi di concentramento, la tortura, il terrore, tutta la repressione che era stata inflitta con freddezza e determinazione omicida a questo popolo, su cui ora i fascisti stavano sfogando la loro collera dovuta al fatto che era stata aperta una via all'indipendenza nazionale, al rinnovamento e al socialismo, che la reazione era stata scossa dalle fondamenta.
Molto di ciò che emerse dai racconti dei rifugiati è stato accolto nel testo e nella musica. Ma la musica è anche carica della mia esperienza personale: la paura della polizia (che mi ha perseguitato per tutta la vita), dei collegi, dei cortili di caserma, delle prigioni. La mia musica si può identificare con il giovane disertore, versa lacrime con tutte le vittime, odia e aborrisce il mondo della borghesia fasci-stoide, degli assassini, dei torturatori e di chi li appoggia. E genera speranza, forse solo un debole raggio, ma quanto basta per evitare di cadere nel pessimismo, dannoso come ogni altra forma di frivolezza.
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