Le opere secolo, immettendolo in un’atmosfera che caratterizza invece alcuni dei tentativi più avanzati dell’arte moderna di questi ultimi anni. Nella farsa in 6 quadri dello scrittore belga (ma sarebbe più giusto dire fiammingo, anche se francofono) c’è un tentativo di esorcizzare l’antico gotico terrore della morte, confrontandolo con il principio del piacere nelle sue forme più disparate (l’eros, l’ebbrezza, la voracità) facenti capo tutti al grande mito del trickster, cioè del briccone geniale e stupido nello stesso tempo, anch’esso presente nella cultura fiamminga nel famoso personaggio di Till Eulenspiegel. Ma nella Balade du Grand Macabre Ghelderode - pur rappresentando le varie diramazioni di tale figura nell’ubriacone Proprenaz in Videbolle (il filosofo effeminato), nel principe Goulav ecc., non riesce o non vuole riuscire a staccarsi àa.\Yhumus della sua cultura nazionale costellata da reminiscenze fobiche della Riforma e della Controriforma, conservando cosi quel carattere di ferocia sinistra nel linguaggio che contraddistingue molte opere di questo solitario scrittore del Novecento volontariamente proiettatosi indietro nel tardo Medioevo. Ligeti e Meschke, rimaneggiando l’opera di Ghelderode, compiendo un innesto con il teatro di Jarry, l’eccentrico distruttore e autodistruttore della fine dell’Ottocento, cercano quelle vie di liberazione che al soggetto e al linguaggio dello scrittore belga erano sbarrate. Il sinistro, giocoso, feroce umor nero della musica e del libretto, che con la loro spregiudicata creatività fagocitano i materiali più diversi e impensabili, mira a portare a compimento quell’atto liberatorio che nel testo originale è assente. In questo caso però, tale atto, è un atto soprattutto ‘autoriflessivo’, che si rivolge cioè al proprio ambito, cercando di modificarlo sostanzialmente e, se non altro, rendere cosi ancora possibile la pratica di un genere, quello del teatro musicale, che diventa sempre più problematica. In questo senso l’opera di Ligeti si colloca al di fuori, e sovente al di sopra, del suo genere, creando quella novità che non sia mera sclerosi o quieta siesta, ma un vero atto, appunto, liberatorio. Quale migliore terreno per una concezione di questa portata se non quello della nostra cultura, se non quello ‘dionisiaco’ dove ogni istante si costruisce e si demolisce contemporaneamente, dove il senso della morte diventa senso della vita, dove il ‘briccone’ è il Fanciullo liberatore Qung) proprio per il rifiuto di dividere traumaticamente il Sé e il Mondo. L’opera si svolge a Bruegellandia, nel regno del pittore che ha più di tutti forse reso le figure dell’inconscio; del pittore dei proverbi, del luogo comune, della banalità divenuta sublime, dell’idiozia divenuta scudo contro l’acquiescenza e la prepotenza, contro il confor- 201