Il linguaggio musicale un mondo che paiono ormai per sempre inconciliabili, lacerati, estranei l’un l’altro? Una vita che è stata appagata, un mondo che perde il suo significato. Quali sono in Hölderlin i termini della nostalgia? Pere, rose, cigni, baci, primavera, estate, giardini e usignoli, calore, gioventù, amore e luce, patria, libertà. E quali i simboli della paura? Crepuscolo, ombra e inverno, freddo rigido e pungente, oscurità, incomunicabilità e solitudine. Nella trasposizione musicale di questa dicotomia Ligeti si comporta in modo ambivalente. Da un lato egli evita diretti riferimenti affettivi o quell’immediatezza espressiva che sembra quasi riversare tutta la sua emozione per ogni parola. D’altro canto sceglie moduli rappresentativi del tutto diversificati per i due ambiti espressivi. L’evocazione dell’elemento positivo è caratterizzata preferibilmente da tessiture madrigalistiche, polifoniche, che scorrono lentamente, da progressive stratificazioni e ispessimenti delle voci, una cantabilità sospesa composta da micromotivi su brevi intervalli. Il campo dei messaggi negativi si articola invece in parti piuttosto brevi, aforistiche, declamate in modo violento o scandite omofonicamente. Qui Ligeti si rivela un maestro della sfumatura simbolico-sonora. Non si lascia sfuggire né le corrispondenze musicali dell’antinomia notte-giorno, né l’evocazione del vento (in un’estesa sequenza), delle bandiere, delle mura, della rosa e del cielo serale ammantato di porpora. Dal momento che nella sua strutturazione sezione per sezione egli segue i versi e invece di una chiara esposizione della parola fa prevalere l’autonomia interpretativa dell’elemento musicale, egli fa si che assaporando questi dettagli se ne avvantaggi la percezione immediata. E come questa possa poi diventare anche un fatto visivo, una sensazione sinestetica, è mostrato all’inizio del primo coro, dove, nei diversi strati di voci, si formano movimenti ondulatori che, dopo una prima lieve scossa, si organizzano nel tempo e nello spazio. Qui si realizza di nuovo l’idea di una musica che genera se stessa, suscitata dalla bacchetta magica dell’ispirazione, che sembra scaturire dal mitico regno dell’armonia delle sfere, al quale, dopo aver partecipato sotto varie forme all’esistenza terrena, alla fine torna a riconfluire. (Traduzione di Luisa Mennuti e Riccardo Morello). Note 1 Da un colloquio con M. Lichtenfeld, «Neue Zeitschrift für Musik», n. 142, 1981, p. 471. 2 Ivi, n. 145, 1984, p. 11. 3 Questa e le successive citazioni da Hölderlin in versione italiana sono tratte da Friedrich Hölderlin, Poesie, trad. it. Giorgio Vigolo, Torino, Einaudi 1963 [N.d.T.]. 57