Le opere
so, ma superfici e scatti sonori che suggeriscono una violenta gestualità spazializzata.
   Il primo lavoro elettronico importante, e di vasto respiro, è La fabbrica illuminata, del 1964. Il riferimento politico vi è chiaro e dichiarato: lo sfruttamento del lavoro operaio. Il testo, dovuto a Giuliano Scabia, parla della dura condizione operaia, esposta alle esalazioni nocive, alle cadute di materiali, a luci abbaglianti. A conclusione del vasto lavoro, Nono accoglie le parole liricamente struggenti di Cesare Pavese: “Passeranno i mattini / passeranno le angosce / non sarà sempre cosi / ritroverai qualcosa”. Ciò che connota La fabbrica illuminata è l’assoluta apertura sull’acustico, muovendo sostanzialmente da tre diverse fonti: a) materiali prelevati allo stato grezzo mediante registrazione all’Italsider di Genova-Cornigliano (altifor-ni, laminatoi a caldo e a freddo); b) suoni elettronici prodotti presso lo Studio di Fonologia della Rai di Milano; c) registrazioni dal vivo ed elaborate, di letture e interpretazioni diverse del testo effettuate dal soprano e dal coro. (Una breve parentesi. Lo Studio milanese diventerà, negli anni Sessanta, il luogo ove Nono svolgerà sempre piu serratamente la propria indagine elettroacustica. A lui vicino, Marino Zuccheri, figura di tecnico del suono di straordinaria acutezza e importanza storica).
   L’utilizzazione di materiali acustici tradizionalmente estranei al dominio della musica e, anzi, del “musicale”, rappresenta in questa fase, per il compositore, un vero e proprio atto ideologico: segna una volontà di testimonianza; testimonianza politica, certo, ma anche di vita, di apertura continua dell’evento artistico al mondo che lo circonda, alle infinite sollecitazioni che da esso scaturiscono e che lo provocano. In quegli stessi anni, del resto, Cage diceva essere il rumore che giungeva nella stanza da una finestra aperta non meno “musica” di quanto eventualmente si stesse suonando all’interno. Nono, palesemente, muove da tutt’altre premesse: eppure, qualche addentellato comune pur nella estrema diversità si può tranquillamente individuare. Va da sé, poi, che per Nono la tentazione del “concretismo” viene subito filtrata e trasformata in altro. Non solo e non tanto per ragioni “rappresentative” di contenuti, come pure (anche legittimamente) si disse, ma principalmente (possiamo dire oggi) per il continuo desiderio di “composizione”. Perciò la tentazione o quantomeno il rischio del collage, intrinseco alla stessa scelta di un cosi esasperato polimaterismo, cosi come ogni dubbio di piatto descrittivismo (della fabbrica, in questo caso), vengono subito schivati. Nello spazio acustico, dilatato all’estremo (almeno per i mezzi delle tecnologie di quel tempo) si muovono di continuo segnali svariati ma stretti in vortici sonori che concentrano e decentrano la materia acustica secondo un gioco cangiante di spessori: gioco che non allinea gli eventi, ma li fa ribollire in una trascinante spirale. Sul finire, ecco sorgere improvviso l’ampio “arioso” del soprano, che intona le parole del testo pavesiano: un momento di incanto lirico, che ripropone allo stato puro la vocalità ben nota nel nostro compositore.
   La successiva composizione elettronica è Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, cori da Die Ermittlung di Peter Weiss. L’origine del lavoro è dovuta alla sollecitazione di Erwin Piscator, che si era rivolto a Nono per le musiche “di scena” a lui necessarie per l’allestimento del lavoro di Weiss.
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