Xenakis
È lo stesso spirito che informa Diatope, ultima tappa - ad oggi - della ricerca di Xenakis nel campo dello spettacolo automatico, condotto però con mezzi tecnici più imponenti, ancora più perfezionati, e soprattutto con un'architettura originale, strettamente legata all'opera e, inoltre, trasportabile. Nel 1976 Robert Bordaz, che già aveva commissionato il Polyto-pe de Montréal e dato il suo aiuto per la realizzazione del Polytope de Cluny, spera che Xenakis contribuisca in maniera determinante all'inaugurazione, prevista a Parigi per l'anno successivo, del Centre George Pompi-dou di cui sta terminando l'edificazione. Xenakis immagina inizialmente di trasformare l'intero edificio in un gigantesco Politopo esterno, poi di tappezzare la facciata con una reticella di sostegno per migliaia di flash, e ancora di erigere due muri trasparenti paralleli, alti trenta metri, con uno spettacolo all'interno, visibile sia di dentro sia di fuori. Ma tali progetti si rivelano troppo costosi, e i responsabili giungono infine a considerare un'ultima proposta, quella di una struttura plastica morbida che copra lo spettacolo e possa essere smontata per essere ricostruita altrove, e particolarmente nella Germania Federale dove si pensa di accoglierla.
Per la prima volta dopo venticinque anni l'architetto si rimette dunque al lavoro. Concepisce una struttura curva e asimmetrica, con tre punte di cui una culmina a sedici metri, il tutto teso da mille metri quadri di vinile rosso vivo o metallizzato, con una finestra che lascia passare i raggi laser. Si ritrovano qui le superfici regolari del padiglione Philips, ma più dolci, più lisce, più molli, meno geometriche. All'interno il telo di plastica è nero, il pavimento è costituito da lastre di vetro e sei colonne, anch'esse di vetro, fanno da supporto ai quattro emettitori laser e alle ottiche deformanti. Trovano disposizione inoltre quattrocento specchi e, alle intersezioni dei cavi d'acciaio che raddoppiano le pareti, milleseicento flash. La preparazione dello spettacolo, che deve avere una durata di quarantasei minuti, verrà compiuta secondo gli stessi principi adottati per il Polytope de Cluny, ma il risultato visivo sarà sensibilmente differente, con i disegni supplementari, mobili e cangianti, tracciati dai raggi laser sulla tela nera, o gli effetti d'illuminazione indiretta che passano al di sotto del pavimento trasparente.
La musica, composta a partire dal 1976 allo Studio del Westdeutscher Rundfunk di Colonia, articola nella più totale libertà - ma in vista della riproduzione animata nello spazio attraverso undici altoparlanti ad alta definizione - sonorità di strumenti esotici, rumori generati da urto, sfregamento, scivolamento, vibrazione, e di suoni elettronici complessi, ottenuti dal lavoro del Centro di studi di matematica e di tecnica automatica musicale. Sotto il titolo di La Légende d'Eer (dal passaggio della Repubblica di Platone in cui l'eroe risuscitato racconta ciò che ha visto nell'aldilà), l'opera è di una singolare violenza poiché, tra un estremo e l'altro, «esiste un carattere abrasivo, sempre presente in qualche parametro, volume, registro, tessitura o altezza. Al centro di un Maelstròm elettronico, lo spettatore è aggredito in continuazione» 33.
Prima di poter essere avviato, il Diatope conosce numerose e gravi difficoltà. La realizzazione dell'architettura di tela si rivela più complicata del previsto, il cantiere avanza troppo lentamente, gli abitanti della zona
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