39 associate al fare urbanistica. Ne deriverebbe per l’urbanistica una perdita del centro che si riflette in una «evidente incapacità di ricondurre, da un punto di vista concettuale, il processo di costruzione della politica urbanistica ad una o poche questioni centrali che strutturino per un periodo sufficientemente esteso il resto dei problemi orientandolo gerarchicamente» (Secchi, 1986b, p. 86). L’eclisse delle teorie complessive e forti consentirebbe soltanto deboli trame discorsive, interventi parziali su oggetti e/o porzioni delimitate dello spazio e in aderenza ai caratteri specifici del luogo, la ricerca della «variabilità del senso e del valore che le diverse parti di città e di territorio assumono agli occhi dei differenti individui e gruppi sociali» (Secchi, 1986a, p. 8). Molto meno coinvolte in questa riflessione «debole» appaiono le discipline più specificamente dedicate all’analisi economico-territoriale e alla pianificazione di scala vasta. Secondo Palermo questa assenza o vera e propria latitanza può essere ricondotta alla persistenza all’interno degli studi di economia urba na e regionale di un approccio tradizionale di tipo aggregativo e gerarchico di cui si è pressoché esaurita la capacità analitico-cognitiva e la validità progettuale; non avrebbe senso infatti ricondurre ad una concezione meccanicistica (l’albero gerarchico come forma normale di rappresentazione) le tendenze più recenti dei processi di trasformazione territoriale del nostro paese che non possono più essere spiegate e trattate in questo quadro di relazioni spaziali. In particolare non può essere spiegata, e conseguentemente governata in questa dimensione teorica e progettuale, la struttura urbana reticolare periferica manifestatasi in tutta la sua evidenza in Italia nell’ultimo decennio: essa svolgerebbe secondo Palermo eminentemente una funzione di «immagine metaforica», negando ogni legittimità ai paradigmi tradizionali della ricerca economica e geografica e alla potenzialità interpretativa, progettuale e, in ultima analisi, normativa, di tali paradigmi (Palermo, 1986). Purtroppo, a fronte della proposta di un drastico abbandono del modello (positivo e normativo) di tipo gerarchico, non troviamo altrettanto netti suggerimenti in positivo al di là di pur condivisibili ma generici inviti a un «mutamento di linguaggio e di stile», a un necessario riferimento alle «conoscenze di sfondo» e a un «consenso intersoggettivo... sui quadri di significati», nonché alla proposta di una difficile sintesi fra opposte polarità: la «progettualità descrittiva». Si tratta comunque di un approccio ben differente da quello condiviso da molti analisti urbani e regionali che vede invece nella assunzione della rilevanza dello sviluppo urbano reticolare periferico una opportu-