31 tra tasso di rinnovamento tendenziale dell’economia e tasso di moder-nizzazione/ammortamento del capitale fisico che costituisce la città. La transizione a una società postindustriale comporta inevitabilmente processi di ristrutturazione industriale: sostituzione di attività ad alto contenuto di lavoro con attività ad alto contenuto di capitale e di lavoro qualificato e rilocalizzazione di attività manifatturiere mature in aree periferiche. Le perdite occupazionali nel settore manifatturiero possono pertanto essere interpretate come un processo «naturale» di evoluzione delle economie metropolitane verso una specializzazione in direzione di funzioni terziarie e quaternarie che rientrano stretta-mente nel circuito della produzione (Momigliano e Siniscalco, 1982) e dunque non appaiono di per sé sufficienti a diagnosticare la presenza di processi di declino. Questi affinamenti interpretativi sono per taluni aspetti favoriti dal profilarsi di una nuova fase espansiva del ciclo economico a partire dal 1983-1984: questo elemento produce una ventata di ottimismo e consente di riflettere con maggiore creatività sulle politiche più appropriate per favorire processi di autoaggiustamento che facilitino l’adattamento spaziale alle nuove esigenze strutturali, alleviando altresì i traumi e le contraddizioni che si manifestano in maggiore misura nei periodi di transizione anche nelle strutture spaziali. Alcune grandi città, sotto l’impulso di queste tendenze espansive, sembrano recuperare capacità di sviluppo economico e demografico. In un recente aggiornamento delle sue analisi sulla controurbanizzazione demografica nei paesi europei, Fielding evidenzia ad esempio come da una analisi di regressione della migrazione netta sulla densità demografica riferita al periodo 1981-83 si manifesti una correlazione troppo debole per risultare significativa della permanenza di fenomeni di controurbanizzazione per un certo numero di paesi (fra cui Francia, Svizzera, Belgio e Regno Unito), mentre segnali di incipiente riurbanizzazione si evidenziano per Svezia, Norvegia e Danimarca (Fielding, 1986) (Fig. 1). Le ipotesi relative alle politiche urbane mi sembra dunque possano essere poste in relazione con alcuni risultati interpretativi ormai ampiamente condivisi. In primo luogo l’impulso alla crescita qualitativa della metropoli e dell’intera sua area di influenza non può avvenire senza un programma di selezione e di sostegno delle attività a forte preferenza localizzativa centrale. Le tendenze spontanee delle attività superiori non hanno mai infranto una legge di localizzazione gerarchica, e su questo elemento concordano una serie di ricerche recenti sul sistema urbano italiano molto diverse tra di loro (Gasparini, 1985; Gasparini, Camagni e Marelli, 1985; De Matteis et al., 1986). Comunque di fronte ai costi crescenti delle aree metropolitane si impone una politica di