sociali. Con queste premesse, e sulla base di recenti elaborazioni del processo di formazione delle scelte collettive, si è avanzata l’ipotesi di un «gioco del decentramento», avviato già nella fase costituzionale e da proseguire indefinitamente in una democrazia rappresentativa tra i politici eletti. Tra molte strategie effettuabili, si è posto l’accento su quelle relative a contrattazioni in grado di preludere e stimolare il comportamento cooperativo dei contraenti, autointeressati ma reciprocamente razionali. Quanto esposto, beninteso, è poco più di un approfondimento metodologico iniziale di un’impostazione forse suscettibile di non triviali conferme, se sottoposta al vaglio empirico, circa la preferibilità di un decentramento istituzionale sul territorio che tuteli le opinioni dei soggetti. Tale obiettivo, comune a numerosi autori, richiede nella nostra proposta un’attività concorrenziale ed innovativa di un gruppo, anche piccolo, di esponenti delle giurisdizioni inferiori che, scontrandosi con il loro omologo centrale, attuano una particolare strategia di cooperazione. L’argomentazione teorica non permette di trarre conclusioni in quanto non sembrano esistere strategie razionali definitivamente migliori della totalità delle altre per l’analisi dei fenomeni sociali. Un limite dell’approccio appare la circostanza che esso, nella letteratura da cui ha tratto lo spunto questo lavoro, ignora, in prima approssimazione, un’autorità centrale o una costituzione quale fonte delle regole del gioco (23). Può essere di conforto, al riguardo, riferire l’essenza di un principio di giustizia sociale elaborato di recente (24). Si afferma, in breve, che occorre poter stabilire, ai fini di equità, che cosa potrebbe rispondere qualunque soggetto per convincere ogni altro della legittimità delle proprie richieste rispetto a quelle altrui, verso cioè chi reclama lo stesso potere. In situazioni supposte di conflitto, 23.11 richiamo è a Axelrod, 1985. Naturalmente ogni responsabilità circa l’estensione dell’analisi all’oggetto di questo saggio è solo di chi scrive. 24. Si veda Ackerman, 1984, soprattutto i capp. 1 e 10, nonché l’Introduzione all’edizione italiana di Romani. 70