- dovrebbe fondarsi non su un unico indicatore, anche se fortemente espressivo del grado di integrazione tra le unità insediative (comuni) quale il pendolarismo di lavoro, bensì su un sistema di indicatori in grado di rappresentare sia i caratteri strutturali delle unità insediative (e quindi, in ultima istanza, la formazione storica dell’area) sia l’integrazione fra le unità (e quindi la sua dimensione funzionale attuale); gli indicatori, per i quali le esperienze ricordate forniscono valutazioni di significatività largamente verificate21, dovrebbero consentire, come suggerisce la metodologia MSA-OMB, un trade-off tra caratteri strutturali (indicatori di omogeneità) e livelli di integrazione (indicatori di relazione); in questa sede potrebbe anche essere verificata la praticabilità e significatività di indicatori desumibili dal «paradigma reticolare»22; - dovrebbe definire, oltre al perimetro delle aree urbane e metropolitane, anche la loro articolazione interna (una o più città centrali, sub-poli metropolitani, ecc.) sia per offrire una migliore rappresentazione della loro effettiva organizzazione, sia per rispondere ai principi di «decentramento e sussidiarietà» indicati dalla Commissione parlamentare sulla attuazione della legge 142 (Camera dei deputati, 1990); - dovrebbe prevedere verifiche ed aggiornamenti periodici per aderire all’evoluzione reale del fenomeno urbano e metropolitano e rendere così operativo il principio di «flessibilità», anch’esso indicato dalla Commissione parlamentare. E’ ovvia la constatazione che la disponibilità di una delimitazione statistico-analitica di questo tipo avrebbe semplificato molto la prima fase attuativa della legge 142: ciascuna regione avrebbe potuto valutare, solo in base a criteri programmatico-gestionali, la congruenza dell’area con le funzioni e gli obiettivi dei futuri governi metropolitani, eventualmente procedendo, solo per questi motivi, ad una sua modificazione. L’intero processo attuativo ne avrebbe guadagnato in speditezza, coerenza e trasparenza, restituendo alle regioni il loro ruolo di enti di programmazione. Forse meno ovvio è sostenere che una delimitazione di questo tipo - che potrebbe essere affidata ad istituti come l’Istat o il Cnr o allo stesso Ministro per le Aree urbane - sarebbe non meno utile e necessaria nel prossimo futuro. In effetti, se passiamo - per un attimo - dal versante «statisticoanalitico» a quello «programmatico-gestionale», non possiamo non 105