proposte avanzate dagli investitori privati. 5. Un'altra tradizionale antinomia da superare è quella fra piano urbanistico e progetto degli edifici e degli spazi. Abbiamo già notato che la crescente domanda di qualità degli spazi urbani impone di rivedere profondamente i rapporti fra piano e progetto. Non è più accettabile un piano urbanistico che delega totalmente il disegno della forma fisica della città al momento della costruzione dei singoli edifici, che avverrà nel tempo senza alcuna regola «progettuale», salvo il rispetto di indici e parametri. Il risultato, che possiamo vedere in tutte le nostre periferie - anche nelle parti pianificate ma non sottoposte a regole di progettazione unitaria - è una città disegnata non da progettisti, ma da burocrati che applicano il Regolamento Edilizio. Si deve invece garantire la qualità del progetto in ogni parte della città; ma questo non può avvenire a scapito del piano. Occorre, in concreto, cercare nuove soluzioni. Gli esempi in questa direzione non mancano: mi limito a ricordare in questa sede esperienze che ho seguito personalmente. Innanzitutto le «Schede progettuali» dell'attuale Piano di Bologna, che tentavano di predefinire con notevole dettaglio la forma degli spazi urbani e l'elenco delle tipologie edilizie da adottare. Il dibattito che ne è seguito ha portato ad una soluzione che, sebbene vista da molti come un modesto .compromesso, è invece, a mio parere, assai interessante, consiste nella trasformazione di quei disegni in una serie di norme «prestazionali», che descrivono i risultati di organizzazione e immagine dello spazio urbano richiesti. Con minori polemiche, nel Piano di Ravenna si sono individuate aree strategiche di riqualificazione, definendo e disegnando alcuni elementi progettuali da specificare ulteriormente in sede di attuazione, affidata a consorzi fra Comune e privati. In altri casi, in cui seguo l'elaborazione del Piano Regolatore, il criterio che stiamo applicando è quello di operare una distinzione - mediante analisi rigorose - fra gli elementi di base della forma urbana, recuperati o di nuova progettazione, che vengono definiti con precisione in sede di piano, e il resto del tessuto urbano che invece viene lasciato, con norme flessibili, alla libertà dei progettisti. Se mi è consentita un'autocitazione, venti anni fa con un gruppo di studenti, tentando di applicare le teorie progettuali di Christopher Alexander, mi capitò di verificare che i suoi «diagrammi di forma», costruiti sulla correlazione fra insiemi di requisiti, fornivano indicazioni relativamente modeste alla progettazione di architettura, ma suggerivano invece, appunto, una normativa di tipo prestazionale assai utile per il disegno urbano. Su questo tema alcuni colleghi hanno compiuto anche interessanti studi (Caniglia, 1984; Besio, 1984). Prescindendo dagli esiti delle ricerche in corso, che si stanno sviluppando 37