successivo, oggetto di contrattazione fra ente pubblico e iniziative private; altre prefigureranno il progetto attraverso le prescrizioni di piano; altre, ancora, saranno direttamente disegnate nel piano - come avveniva negli strumenti urbanistici dell' '800 - quando la qualità urbana di certi spazi venga considerata un obiettivo strategico da perseguire. È chiaro che queste enunciazioni, apparentemente scontate, comportano una profonda revisione dei processi di decisione e della stessa cultura dei diversi operatori coinvolti. Nel nostro paese abbiamo troppo a lungo vissuto su comode eredità culturali ed ideologiche, accettando come naturale che ogni attività di pianificazione si configuri come una miscela casuale di «scienza» ritenuta oggettiva, di obiettivi stabiliti con astrattezza e fissità ideologica (in un recente convegno, Mazza notava che a lungo ci si è comportati come se non esistesse il mercato), di un pragmatismo brutale nell'attività quotidiana. Oggi dobbiamo ricostruire nuovi strumenti interpretativi e valutativi, trovando soluzione ad una serie di problemi tipici che, schematicamente, potrebbero essere presentati come antinomie, contrapposizioni di interessi da risolvere e superare, nodi che in realtà sono sempre esistiti, ma che ora stanno venendo al pettine contemporaneamente. 1. La prima è l'antinomia fra efficienza economica e tutela ambientale. Ne abbiamo già accennato; qui mi limito a sottolineare che siamo ormai abituati ad affermare, come fosse una specie di giaculatoria, che occorre coniugare lo sviluppo produttivo e la tutela ambientale. È facile a dirsi, ma non altrettanto a farlo, e lo dimostra la vicenda dei Piani Paesistici. Ogni piano afferma che la salvaguardia ambientale è compatibile con lo sviluppo economico, e che andranno cercati i modi per ottenere benefici diretti e indiretti, incentivando i settori produttivi ad essa legati (interventi di difesa idrogeologica, igiene ambientale, nuove forme di produzione agricola, etc.). E un intero campo di azione ancora da definire, non tanto sotto il profilo delle tecniche di progetto e di valutazione, quanto piuttosto nella definizione dei rapporti fra gli operatori coinvolti. Siamo ancora ben lontani dall'efficienza di altri paesi; penso ad esempio alla gestione della Lee Valley inglese. 2. Una seconda antinomia è quella fra piano di grande scala e piano urbanistico di dettaglio. Anche questo è un tema di massima attualità. L'esempio tipico potrebbe essere quello delle grandi infrastrutture, come l'Alta Velocità ferroviaria o la «Variante di valico» Bologna-Firenze. Nel dibattito fra gli enti interessati a queste opere (Governo, Ferrovie, Società Autostrade, ANAS, Regione, Provincia, Comuni interessati) si sta registrando una importante novità. In passato, quando i potenti enti nazionali prendevano decisioni su questi grandi interventi, le comunità locali di fatto le subivano. Oggi non può essere più così: si apre una 34