sforzo di «imprenditorialità» e di management di sistema. Solo questa prospettiva consentirà che l’interesse superiore dell’interna comunità locale non si frantumi in interessi dispersivi e contraddittori. In secondo luogo, le economie di montagna potranno prosperare e crescere solo se saranno rispettate la volontà e le aspettative della popolazione residente. Nel caso delle aree di montagna l’opportunità dell’autodeterminazione delle traiettorie di sviluppo - fuori da ogni tentazione di chiusura ma anche tutelando ogni rischio di colonizzazione - è la prospettiva che induce a privilegiare sempre l’endogeneità dei meccanismi di crescita. Infine - ma questo terzo nodo appare essere quasi un corollario dei due precedenti - il problema della sostenibilità della crescita non può essere posto soltanto in termini ambientali. Nelle regioni di montagna - come ricordano Bramanti e Maggioni nel contributo che conclude il volume - la sostenibilità della crescita è al tempo stesso sociale ed economica, oltre che ambientale. Ma anche - vorremmo aggiungere cogliendo i caveat di Alessandrini e Zadra - politica e istituzionale. I conflitti infatti minano sempre i processi di crescita nel lungo periodo e spesso i compromessi per risolverli generano declino: anche e soprattutto in aree fragili come quelle di montagna. Note 1. Ancorché la responsabilità del contenuto di questo saggio sia di entrambi gli autori, Lanfranco Senn ha steso il par. 1 mentre a Flavio Boscacci sono da attribuire i parr. 2 e 3. 2. «Modo» (di sviluppo) non è evidentemente un termine scientifico d’uso corrente, ancorché sia ad esempio usato da alcune discipline come l’economia dei trasporti anche in senso tecnico. D’altro canto, come viene spiegato nel testo, con il termine modo si intende andare oltre il concetto più preciso ma più ambiguo di modello, spesso usato per indicare - invece che un meccanismo causale di crescita - una «tipologia» di sviluppo caratterizzata da elementi non soltanto economici. 3. Ancorché la letteratura in materia sia ormai assai ampia tanto da rendere la sua ricostruzione alquanto difficile, la più recente rassegna di modelli territoriali di sviluppo, prevalentemente di natura endogena, è quella contenuta in Bramanti e Maggiora (1997). 4. Alberto Quadrio Curzio in un recente lavoro ipotizza addirittura la formazione, in Valtellina, di un distretto turistico-finanziario basato appunto su questo tipo di sviluppo terziario dell’economia locale. La tesi, discutibile, è indubbiamente suggestiva. 5. Occupandosi di «Modelli e processi di sviluppo», Guglielmo Scaramellini (1994) afferma che lo sviluppo è «la risultante dell’interazione tra fattori esogeni di carattere economico (come la domanda esterna di particolari beni e servizi non ubiquitari, il decentramento industriale, ecc.), sociale (effetto dimostrativo di consumi e modelli di vita di aree più ricche, ritorno di emigranti da paesi più avanzati, ecc.), politico (flussi 40