ambiente regionale, ecc. E come tale viene fruito ad esempio all'estero; il successo americano di De Sica-Zavattini o del primo Rossellini è in questo senso spiegabile anche a partire dalle caratteristiche di esotica « italianità » delle loro opere, e sotto lo stesso segno si spiegano ancora oggi i successi commerciali di Lina Wertmuller. Totalmente diversa è la posizione d'i film catalogabili nel cosidetto genere storico-avventuroso: la produzione di questi film è destinata prevalentemente al mercato interno, e Riccardo Freda, Primo Zeglio, Pietro Francisci contrappongono le loro opere a Curtiz e a Walsh, mentre Rossano Brazzi e Massimo Serato devono tenere il confronto con il mito di Errol Flynn e Tyrone Power. La differenza delle tradizioni culturali e cinematografiche, ma soprattutto la fragilità dell'industria cinematografica italiana rispetto a quella americana rendono molto spesso la retorica e la « classicità » un espediente necessario per controbilanciare la scarsità di mezzi; ed il discorso può essere portato avanti sino al mitologico, fiorito a cavallo degli anni '60, che del genere storico-avventuroso dell'immediato dopoguerra rappresenta il diretto discendente, e ancora oltre fino al western all'italiana. All'interno di una suddivisione di questo tipo si inquadra a perfezione anche il cinema operistico; infatti « il problema della concorrenza hollywoodiana si poneva in termini particolarmente gravi alla fine della guerra: le pellicole americane avevano diritto di invasione sul nostro mercato, e d'altronde il pubblico era ansioso di ritrovare il contatto con l'affascinante star-system d'oltreoceano. Ora, la formula del melodramma filmato garantiva a una folla larghissima di appassionati delle emozioni che nessun film made in USA poteva surrogare. Nello stesso tempo, l'operato del regista usufruiva gratuitamente di un avallo artistico tanto glorioso da far apparire poca cosa le esperienze del neorealismo. Così, dopo il 25 aprile, buona parte degli spettatori italiani si riaccostò agli schermi cantando: si abbandonò nel canto, compianse le proprie miserie, consolò le amarezze, ravvivò le speranze. Il film operistico esaltava e sopiva il tumulto dei sentimenti di un pubblico appena uscito dall'incubo della guerra, trasportandolo in una sfera più alta, affascinandolo con l'immagine magniloquente della passione che sublima e accieca, con il ritratto di un'umanità grandiosa sempre, nel bene come nel male. In questo senso, i primi divi del dopoguerra furono due cantanti, Tito Gobbi e Gino Bechi, che in quegli anni moltiplicarono la loro attività, interpretando una lunga serie di pellicole » (2). Il fenomeno viene dunque spiegato: a) come mistificazione della tensione resistenziale, che trovava in campo cinematografico la sua naturale trasposizione nel neorealismo; (2) V. Spinazzola, Ibidem, pag. 56-57. 4