b) come una prassi cinematografica incentrata su fattori extravisuali, quali la musica ed il canto, contrapposta alla prassi neorealista di ritrovare il valore specifico del racconto per immagini. Rileveremo brevemente solo alcuni elementi. Innanzitutto, il vasto successo sia critico sia soprattutto commerciale che questi film hanno incontrato all'estero, conferma che il loro attingere alla tradizione melodrammatica, se suscitava l'interesse degli spettatori italiani, rientrava comunque in quelle caratteristiche di « esoticità » che erano indispensabili per la buona resa del prodotto italiano cinematografico all'estero. Poi, il problema dei rapporti tra lotta antifascista e cinema italiano, sinora molto spesso risolti con una chiave di lettura riduttiva, tendente a leggere il cinema neorealista come il fragile tentativo, subito soffocato dalla rivincita democristiana e dalla normalizzazione dello stato, di svincolare la produzione cinematografica dal suo asservimento alla macchina capitalista. E' un approccio viziato soprattutto dall'incapacità di cogliere un dato di fondo, l'essere cioè la struttura cinematografica restata sostanzialmente intatta nel passaggio da fascismo a repubblica. Uguali quindi le condizioni di produzione, anche se ampliate come quantità, uguali i nomi di chi produce e dirige, uguali le esigenze di mercato. Rossellini, De Santis, Lizzani, Chiarini, Antonioni avevano svolto una cospicua attività critica e realizzativa sotto il fascismo (anche se sotto l'ala protettrice di quel « fascismo critico » che faceva capo al ministro Bottai); Amidei, Zavattini, Brancati, De Sica erano pienamente inseriti nell'industria cinematografica. Anna Magnani, negli stessi anni in cui interpretava Roma città aperta, appariva come protagonista in L'onorevole Angelina di Luigi Zampa (antesignano della commedia all'italiana) e in Davanti a lui tremava tutta Roma di Carmine Gallone (un film operistico, appunto), ma altri esempi di osmosi tra il cinema neorealista ed il cinema « commerciale » sarebbero ampiamente verificabili, a riprova della loro collocazione in un'unica realtà produttiva. Infine, il problema del cinema come riproduzione della realtà posto in alternativa al cinema come finzione. Probabilmente molto del diniego della critica, di allora e di adesso, verso il cinema operistico può essere fatto risalire al fatto che di fronte ad una simile contrapposizione ci si schierava (e ci si schiera) per la prima soluzione. A questo proposito, citiamo dal fascicolo su «Melodramma e cinema italiano» già ricordato: «(...) Chi scrive ha un "amour fou" per il melodramma e lo ritiene non soltanto l'unico teatro del tutto originale elaborato qui in Italia, ma anche l'unica forma autonoma ed originale del fare arte, arte della "rappresentazione", dello spettacolo, sempre in Italia. Ritiene anche che il cinema sia un suo nobilissimo derivato, con lo stesso odore, che sia di palcoscenico o di sala cinematografica popolare, è lo stesso ». Anche qui, servirà solo ricordare brevemente la riduttività di una 5