lettura che rivendichi un'« oggettività » della comunicazione filmica svincolata da qualsiasi discorso sulla fascinazione, sui meccanismi della fiction cinematografica. E che è estremamente punitiva rispetto a quel « piacere del testo » che viene troppo spesso colpevolizzato e rimosso a vantaggio di una lettura co-sidetta « impegnata ». Parlare del cinema operistico significa evidentemente però anche interessarsi di quello che era il referente culturale immediato cui questo fortunato genere si riferiva: appunto il melodramma, cioè una delle poche forme di produzione artistica e culturale operante anche a livello popolare, e che quindi meglio di ogni altra poteva giungere ad un incontro con una forma spettacolare massificata come il cinema. In altra parte del fascicolo si parla della fruizione del melodramma nell'epoca considerata: interessa qui solo sottolineare come l'approccio culturale del cinema italiano al melodramma possa essere facilmente verificato in una delle ultime produzioni della serie, Casa Ricordi di Carmine Gallone. Nella vicenda del mecenate-industriale milanese e dei suoi discendenti, emerge uno spaccato di storia d'Italia mediata attraverso la storia del melodramma: il Nabucco, « Viva Verdi », le « cinque giornate di Milano », Casa Ricordi è con la sua complessità di riferimenti ad elementi profondamente radicati nell'immaginario popolare una vera e propria summa del cinema « minore » italiano, in quanto ne spiega il successo riportandolo ad una « popolarità » non di maniera. Sono questi solo alcuni dei motivi per cui abbiamo attribuito una tale importanza alla presentazione di questa rassegna, al poterla « usare » per contribuire a ridurre l'abisso che separa la visione dei film dalla loro fruizione. Non a caso, infatti, il discorso sul cinema operistico deve necessariamente collegarsi con la figura del regista che da solo ha portato a termine un buon numero di questi film: Carmine Gallone, ovvero il « De Mille italiano ». Gallone è stato uno dei registi più prolifici del cinema italiano, attivo ininterrottamente dai primi tempi del cinema muto sino al 1962. Il suo nome è legato normalmente, oltre che al cinema operistico ed alla fortunata serie di Don Camillo, al suo aver filmato il famoso/famigerato Scipione l'Africano, il film che doveva celebrare il rinato impero rievocando le imprese dell'antichità romana sotto il pesante influsso della retorica di regime. L'episodio è tutto sommato marginale rispetto ad una filmografia consistente, impegnata soprattutto a realizzare il massimo di resa spettacolare del film stesso: non a caso, Gallone stesso, nel corso di un intervento sui propri film al Comitato per il Maggio Fiorentino, citava con orgoglio una recensione americana della Traviata che diceva: « Troverete molto in questo film: solo uno sciocco potrebbe rimanere insensibile » (la conferenza è riportata nel fascicolo già citato). Sotto questo punto di vista, il cinema in costume di Gallone si differenzia moltissimo, per esempio, da quello di Riccardo Freda: la ricerca dell'effetto, della ricostruzione fastosa come elemento di richiamo spettacolare del primo 6