132 IL COMMENTO luto ; è la scoperta che solo seguendo vitalmente il Cristo l’uomo redime sè stesso, diviene ciò che deve essere per sè medesimo, ciò che Dio vuole ch’ei sia. Come è possibile pertanto parlare di esclusione delle esperienze religiose di peccato, conversione e riconciliazione senza distruggere l’essenza gtessa della religione, del senso di sentirsi oggetto d’infinito amore di cui si è infinitamente indegni e da cui siamo redenti arrendendoci alla vita d’amore che chiede il nostro ossequio? V’è un senso in cui il parlare semplicemente di esperienze religiose da coltivare e trasmettere sembra anzi cosa assai equivoca. Se per esperienza s’intende meramente un evento nel soggetto, la coltivazione dell’esperienza religiosa è solo uno sport più o meno divertente, è il culto di ciò che l’Amiel additò nel Renan come l’epicu-rismo delicato della emozione religiosa. Per noi l’esperienza religiosa come ogni altra esperienza presuppone un reale soggetto ed un reale Oggetto; un soggetto ed un Oggetto che non sono solo i due poli terminali di essa, ma che sono due spiriti ontologicamente in comunione di vita l’uno con l’altro. La relazione tra soggetto ed oggetto è per noi una relazione sociale tra persone; nella fattispecie è una relazione sociale tra i soggetti finiti e lo Spirito infinito che è ad essi ciò che lo spazio è pei corpi, e che eternamente è ciò che ad essi è possibile divenire e molto, ineffabilmente di più. Il divenire è la legge degli esseri determinati, non dell’Essere che determinandosi li determina con atto libero di perfetto amore. In questo senso l’esperienza religiosa non è un mero evento nel soggetto, ma è la rivelazione dell’Oggetto nel Soggetto; in essa_ l’Oggetto si rivela Soggetto al Soggetto, lo Spirito si rivela agli Spiriti. L’idealismo è epistemológicamente nel vero quando reclama che la realtà non può essere impervia al pensiero e che il Reale è ciò che è oggetto di possibile esperienza. Ma esso erra quando pretende che la realtà dell’oggetto è costituita dall’atto con cui il Soggetto l’esperimenta. A questo punto il Realismo ha ragione di rivendicare pell'Oggetto una realtà ontologica per sè stessa, sebbene spirituale ; chè anzi noi non possiamo pensarla che spirituale. L’idealismo esprime solo un aspetto dell’esperienza religiosa; questa è idealistica contro il realismo grossolano dei naturalisti; ma essa è realistica contro l’idealismo soggettivistico o moni-stico-panteistico : essa reclama per Dio una realtà più profonda che per lo stesso uomo. Chi ha esperienza di Dio si sente sospeso a Lui, creato da Lui, amato da Lui, mosso da Lui, sebbene non identico a Lui. Dio si rivela ; la stessa parola dice che nell’esperienza religiosa l’iniziativa è di Lui. Segue pure da ciò che per noi l’esperienza religiosa non è meramente la gestazione immanente della nuova terra ove abiterà la giustizia. Questa è una concezione pre-cristiana, giudaica. Per noi l’evoluzione religiosa è una evoluzione che non è religiosa se non a patto che la conoscenza di Dio come a noi immanente porti a vivere nella luce di Dio sentito come trascendente. Se Dio non è che l’idea che noi abbiamo di Lui, se non è anche tale idea attuata nella vita dello Spirito Assoluto, se non è piena attualità, ma solo latente virtualità... non è il Dio di cui l’uomo ha bisogno, non è Dio, e non c’è altro da dire. Nessun progresso sociale, nessuna successione di trionfali millenni basterà mai a saziar la sete d’infinito dello spirito umano ; se Dio non è che divenire ; se il fine è un Bene irraggiungibile, a che la fatica? No, questa concezione laica, secolarista della religione, se può appagare dei preti che non si senton più sacerdoti, non può appagare, non appagherà mai chi sente che tutto il divenire storico, che tutto il progresso sociale non vale niente ed è atroce, crudele ironia, ecatombe inutile di miserabili generazioni di allucinati incoscienti, se esso non è l’educazione e la conquista faticosa della vita eterna, d’un Bene che deve essere il possesso d’ogni anima umana e che deve consistere nel vivere con gioia e senza ostacoli interiori la vita stessa di Dio; se esso non ha fini sopratemporali e soprasociali, se esso non è fin d’ora la trasfigurazione della terra nel Cielo, dell’animale ragionevole nell’angelo e nel Piglio di Dio, della morale della legge nella vita dal punto di vista del Padre. E’ penoso il dissentire da chi conduce una lotta contro un comune nemico; ma il dissenso è doveroso laddove si fa chiaro li pericolo che modernismo non significhi ripensamento moderno di ciò che è eterno nella vita religiosa di tutti i luoghi e di tutti i tempi e sopra tutto nella tradizione cristiana, ma affrettato olocausto di elementi di questa mal digeriti e compresi e che solo richieggono di esser tradotti e ripensati per apparir permanenti, ad aspetti e modi forse contingenti e non duraturi della cultura e della vita contemporanea. {fine) Angelo Crespi. Educazione estetica ed educazione morale Abbiamo, nel numero scorso, esaminato e risolto alcune difficoltà opposte al valore ed all’efficacia dell’arte nella educazione morale ; l’argomento interessantissimo merita forse un ulteriore esame. L’arte provoca delle reazioni valutative, si obietta, su uno stato che sarà dissinteres-sato, sara quel che si vuole, ma che appunto perchè si esaurisce e consuma nel sentimento, le rende praticamente inefficaci: nonché aiutare nel suo continuo sforzo di attuazioni concrete la coscienza etica, essa provoca piuttosto un appagamento sentimentale o quietistico che segna della coscienza etica il decadere. Vanamente affina l’arte la percezione dei valori, chè non fa sentir in questi degli imperativi, dei doveri... E di vero l’arte e gli oggetti della contemplazione estetica in genere possono aver per effetto un infiacchimento del senso del dovere in coscienze poco vitali o non equilibratamente sviluppate ; se non che questo effetto non è il triste privilegio della attività estetica come tale: simile effetto può esercitare, in coscienze simili, il Sapere. E dall’altra, lo spirito non è,