10 LA CITTA’ LIBERA 1° marzo 1945 sistito in un villagio vicino a Drvar alla nomina di alcuni delegati per un congresso giovanile regionale: effettivamente, pur nell’assenza di qualsiasi regolamentazione elettorale, la nomina è venuta dal basso. Ma ho visto come a tutti quotidianamente venisse impartita una « lezioncina » e come tutti l’accettassero senza riserva alcuna: pronto ciascuno poi a ripetere il piccolo brano catechistico appreso ad un altro, il quale a sua volta lo sciorinava ad una terza persona. In conclusione, tale «sistema» a partito unico (con tutte le diverse manifestazioni ben conosciute — dagli evviva stampati sui muri alla esistenza di vere e proprie truppe di partito: le brigate proletarie) può essere considerato non come una vera e pròpria dittatura, ma come un regime clericaleggiarne: l’opposizione, pur essendo giuridicamente ammessa, è impossibile ad essere in modo concreto concepita. D’altra parte i meriti militari dei comunisti sono molteplici: i capi militari sono in gran parte comunisti e i comunisti si sono sacrificati in numero elevatissimo nella lotta. Va ricordato poi ¡’affratellamento ottenuto dai partito comunista dei popoli jugoslavi proprio nel periodo in cui i secolari odi fra essi, scientemente eccitati dagli occupatori, si scatenavano con inaudita violenza, con massacri in massa d’intere popolazioni. Il Partito comunista, poiché non ha una base etnica, è stato l’unico in grado di svolgere la sua azione senza fare affidamento sulle reciproche reazioni dei diversi gruppi l’uno in lotta contro l’altro. Alcuni italiani mi hanno obbiettato che in realtà tale fratellanza non sarebbe che una parola vuota di sensor all’egemonia serba della vecchia Jugoslavia si andrebbe ora sostituendo una egemonia croata. L’illazione è basata stilla considerazione che, avendo il movimento cetnico serbo assai maggior numero di seguaci che non l’ustascia croato, la percentuale dei croati i quali militano nelle file partigiane è assai maggiore di quella dei serbi. Tutto ciò a me sembra privo di verità : oltre tutto ho visto moltissimi serbi nei posti direttivi. Ad ogni modo, mancando od essendo pressocchè trascurabile la massa borghese più evoluta, le elezioni, ohe riguardano poi solo cariche del tutto locali, si riducono alla scelta dell’uomo migliore, e questi appare, per la maggior parte dei casi, un comunista. In sostanza i comunisti sono riusciti ad instaurare un regime accentratore e tirannico senza ricorrere alla sgradita parola dittatura sia pure del proletariato, valendosi anzi dell’applicazione formale dei principi democratici. Non si può dire che il Maresciallo Tito nell’aspetto, nel modo di parlare (non è affatto un buon oratore), abbia caratteristiche ed atteggiamenti da dittatore; ma lo costringono a divenire tale la propaganda e la cieca fiducia delle masse che lo seguono. Penosi ricordi di « ducismo » ha ridestato in me la frase che ho sentito pronunziare da diversi a proposito delle difficili trattative in corso con il governo di Londra: «Il nostro Tito saprà che cosa fare! ». I nemici dei partigiani sono diversi e assai accaniti. Ogni nazionalità jugoslava ha i suoi gruppi che combattono contro l’esercito di Tito: in Croazia gli Ustascia, in Slovenia la bela Garda, in Montenegro e in Bosnia i mussulmani anticomunisti, e così via. Il loro carattere è fascista e reazionario; la politica tedesca li ha avvinti e sfruttati, facendo grandi promesse per la sistemazione del dopoguerra e domandando, in cambio, uomini e materiale. Questi gruppi, ben lungi dall’essere legati fra loro da vincoli ideali e programmatici, sono anzi nemici acerrimi l’uno dell’altro. Il seguilo che quei movimenti hanno nel paese è scarso. Un posto particolare tra i nemici dei partigiani è occupato dal movimento cetnico. Su di esso la propaganda ha diffuso addirittura una versione ufficiale che si è largamente propagata e viene considerata per vera. Secondo tale versione i cetnici, o meglio i loro cospiratori politici del governo reale di Croazia, non sarebbero mai stati contro i tedeschi, m'a sin dal primo momento in stretto contatto con essi. Sarebbe stata poi la massa serba a volere la lotta contro i tedeschi ed a spingere Mihailovic a stringere nel novembre 1941 un accordo con Tito per unire le forze contro gli occupanti. Fino a quel momento Mihailovic avrebbe voluto combattere solo contro gli ustascia. Il fatto che una tale storiella abbia potuto attecchire si spiega solo con la straordinaria ignoranza dei contadini jugoslavi. Ma anche il dottor Ribnikar, vice-presidente del Comitato di liberazione nazionale e ministro delle informazioni, mi diceva che il generale Nedìc, il Quisling serbo, si è sempre considerato un dipendente di Mihailovic, ministro della guerra, e del governo reale di Londra: nello studio di Nedic sarebbero affiancati i ritratti di Hitler e di Re Pietro. Ciò che in tali leggende può esserci di vero è la preoccupazione dei cetnici di battere gli ustascia : a guerra finita, sarebbe stato sconfitto per tale modo tanto il nemico esterno, quanto il nemico interno. Non c’è dubbio che Tito ha oggi le migliori carte in mano per una sua affermazione nel paese alle future elezioni; egli non è disposto, certo, a farsi mettere il piede sul collo da altre forze. La propaganda contro la monarchia è a tal punto violenta da potersi dichiarare fin da adesso, anche se su tale questione il popolo non si sia formalmente pronunciato, che le sorti dell’istituto monarchico sono gravemente compromesse. Ad ogni modo molti partigiani, che rimarranno alla fine della guerra con le armi in mano, parlano della possibilità di continuare a servirsene per instaurare il « nuovo ordine ». * * THOMAS MANN NON É PIÙ DOTTORE Ci sembra interessante pubblicare il seguente carteggio tra Thomas Mann e il Decano dell’Università di Bonn che, pur risalendo a molti anni fa non ha potuto avere diffusione in Italia per le conosciute circostanze. Mentre si trovava in esilio a Zurigo nel 1937 Thomas Mann ricevette la seguente Iettar a: Herr Thomas Mann, scrittore A richiesta del Rettore dell’Università di Bonn vi debbo informare che in conseguenza della vostra perdita della cittadinanza la Facoltà di Filosofia si trova costretta a cancellare il vostro nome dal ruolo dei suoi Laureati ad Honorem. Il vostro diritto ad usare questa Laurea è abrogato in base all’articolo 8 del Regolamento di Conferimento del Titolo. (firma illegibile) DECANO A questa lettera Thomas Mann rispose indirizzandosi non solo al Decano ma al popolo tedesco con la seguente lettera: Al Decano della Facoltà di Filosofia dell’Università di Bonn Ho ricevuto la triste comunicazione che mi avete inviato il 15 dicembre. Permettetemi di rispondervi nel modo seguente. Le Università tedesche si sono assunte una grave responsabilità nel momonto presente contribuendo alla tragica incomprensione dell’ora storica che attraversano e permettendo ai loro membri di contribuire ad alimentare le forze spietate che hanno devastato la Germania moralmente, politicamente ed economicamente. La responsabilità che esse si sono assunte ha annullato da molto tempo la mia gioia per aver avuto questo riconoscimento accademico e mi ha persuaso a non farne alcun uso. Inoltre io godo oggi del titolo onorifico di Dottore in Lettere che mi fu conferito dall’Università di Harward. Il mio diploma contiene una frase che, tradotta dal latino, suona nel modo seguente: «Noi, Presidente e allievi, con l’approvazione della Onorevole Assemblea dei Sorveglianti dell’Università, in seduta solenne, abbiamo designato e nominato ad Honorem dottore in Lettere Thomas Mann, celebre scrittore, il quale ha interpretato la vita di molti nostri concittadini e, assieme ad alcuni contemporanei, mantiene alta la dignità della cultura tedesca, e gli abbiamo concesso i diritti e i privilegi inerenti a questo titolo ». _ In tali termini — che sono in così strana contraddizione con il modo di vedere della Germania di oggi — pensano gli uomini liberi ed illuminati di oltre oceano e, posso aggiungere, non sono i soli. Non avrei mai voluto far vanto delle parole che ho citato; ina qui, oggi, io posso, anzi debbo ripeterle. Se voi, signor Decano (io non conosco la procedura solita) avete esposto una copia della lettera che mi avete indirizzato nella bacheca della vostra Università, vi sarei grato se mi faceste l’onore di esporre anche questa mia risposta. Ho passato quattro anni in un esilio che sarebbe eufemistico chiamare volontario dal momento che se io fossi rimasto in Germania o se vi fossi tornato probabilmente oggi non sarei più vivo. Fin dall’inizio della mia vita intellettuale io mi ero sentito nel più felice accordo col carattere della mia nazione e mi sentivo a mio agio nelle sue tradizioni intellettuali. Io sono più adatto a rappresentare questa tradizione che non a diventare un martire per essa : molto più adatto ad aggiungere un po’ di gaiezza al mondo che non a fomentarne gli odi e i conflitti. I miei libri sono scritti per i tedeschi, per loro prima di tutto; il mondo di fuori e la sua simpatia sono sempre stati per me soltanto un felice accidente. s Io non avrei potuto vivere e lavorare, sarei stato soffocalo se non avessi potuto ogni tanto, per così dire, svuotarmi il cuore per dare libero sfogo al disgusto profondo per ciò che accadeva nella mia patria. A ragione o no il mio nome era legalo per sempre, agli occhi di tutto il mondo, all’idea della Germania che esso amava e rispettava.