LA LEGA ARABA E LA LIBIA 61 mico universale lontanamente realizzabile nel mondo contempo, raneo (ì’Imbaraturiyyah, ossia l’Impero arabo universale, rimane una semplice idea-forza del movimento generale panislamico) ; singoli movimenti particolari non solo sono riusciti qua e là nel-l’ultimo secolo a trionfare (Egitto, Irak, Arabia Saudita, ecc.) ma anche a creare nei rispettivi paesi le condizioni politico-psicologiche favorevoli ad una più vasta comunità islamica su basi, se non unitarie, almeno federative. A differenza cosi dell’Islam malese od indiano, che perseguono loro fini politici essenzialmente locali, o di quello dell’Africa negra frazionato fra cento popolazioni diverse troppo arretrate e disgiunte fra loro per costituire un movimento politica-mente rilevante; è in sostanza l’Islam del Medio Oriente e dell’Oriente Mediterraneo (con le relative propaggini — diremo cosi — nordafricane, cioè il complesso delle popolazioni più impregnate di arabismo per sangue, tradizione e cultura), quello che siffatti problemi politici più particolarmente presenta e presso del quale le due forze e tendenze predette più largamente si manifestano. In queste forze e tendenze appunto, nonché affondare le radici vitali, ha addirittura le origini quella odierna Lega dei Paesi arabi; la quale, se nella II* Guerra mondiale ha trovato l’ambiente più propizio di sviluppo, nei suoi precedenti -storici risale all’ambiente politico formatosi nel Medio e Vicino Oriente con la Ia Guerra mondiale, cioè col tramonto della egemonia ottomana sul mondo islamico, con la caduta del Califfato, con la trasformazione infine dell’Impero islamico di Costantinopoli (privato anche dei paesi arabi, dopo di quelli ' nordafricani) nello stato nazionale turco di Ankara. AI 1936 invero, l’anno stesso del noto “Patto asiatico di non aggressione” detto Patto di Saa-dabad (dal palazzo di Teheran dove fu stipulato) fra Iran, Turchia, Afghanistan ed Irak, rimonta quella prima associazione politica arabo-iraquena che si sviluppava in una più larga e significativa “alleanza araba’’, salutata con esplosioni di gioia negli ambienti islamici più fervidi, d’Africa e d’Asia, in seguito alla adesione alla medesima nell’aprile 1937 dello stesso Jemen dopo la pace di at-Ta’if di tre anni prima (1934) fra lo sciita Zidita imam Yahia e l’ortodosso rigorista Ibn Sàud, restauratore delle fortune wahabite e artefice massimo dell’Arabia attuale. Il movimento arabico creato dal Wahabismo si riconnetteva infatti spiritualmente con quello panislamico della Salafiyyah promosso dagli ambienti più ortodossi del Cairo ed ispirato (come dice la parola stessa salaf ‘‘tempo antico”) al conservatorismo musulmano più intransigente nel campo spirituale, ma congiunto col più spregiudicato occidentalismo in quello materiale del progresso tecmico ed economico (una specie insomma di quella rivoluzione del Mejii che nel secolo scorso creava il Giappone moderno, acci-