( ...................... ” ............................ ....... ..........! 1 * Io devo camminare eon la testa alta : vivere della !j mia vita individuale e dire ruvidamente la verità ; per tutte le strade. ** Emersoa. * MI reno dato a fare « Sempre avanti Sa- j! i il filosofo. » voia. » Umberto Z. Hars&erit» U Savsia. 1 1 Le Forche Caudine Centesimi io ROMA, 10 Agosto 1884 || DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE N. 9 |i "Via dell3 Umiltà, *79, primo plano Centesimi io t.-tr forche o .A.TJX>2 iste EEIZIOSE STEREOTIPA TIRATURA 30,000 COPIE -m— Ai Lettori Il successo enorme delle FOSCHE CAUDINE avendo ecceduto ogni nostra previsione, e avendo perciò esauriti parecchi volumi di quelli proposti per premio,richiamiamo l’attenzione dei nostri lettori sulle nuove e straordinarie seguenti combinazioni : Le Forche Caudine AÌfejflìKsnto stracnUnario Sai 15 giugno al 31 dicembre 1554, L.E&E CINQUE PER L’ESTERO :Xl RE OTTO Dotto «.felonimento di diritto a DUE Tolumi da scegliersi fra i sognanti: E. De Amicis. Alle Porte d’itali*. ! (1. L. Piccarci!. Il sig. De Fieri!. Essala Iran. Quattro Milioni. \ D’Annunzio. Il libro delleVergini. t. Kfearliaro. Regina o Sepnb- \ N.Slarselli. Gl’Italiani del Mcz-bliea! zogiorno. Aggiungere centesimi 50 per l’affrancazione dei premi. ^bonamento straordinario dal IO Agosto al 31 Dicembre 1330 LIRE QUATTORDICI Per X5 Estero: LIRE VENTI Detto Abbonamento dà diritto a tutti i seguenti premi : E. Soarfoglìo. Il libro di Don Chi- ] G. D’ Annunzio. Il libro delle sci'otte. 500 pagine. Vergini. Poggio Fiorentino. Facezie, 500- E. Nunziante. Un lembo della pag. Edizione di gran lusso, j Scandinavia. E. Zola. Voluttà della vita. 500: P. Sbarbaro. Re Travicello o Re pagiLe. j Costituzionale ? 5a edizione. Aggiungere UNA LIRA per l’affrancazione dei premi. I B. — Il volume dello Scarfoglio e quello del Fiorentino possono essere cambiati - a chi lo desidera - con De Amicis Alle Porte d’Italia e con Emma Ivon, Quattro Milioni. Dirigere le domande all’Amministrazione delle FORCHE CAUDINE, Via dell’Umiltà, num. 79, ROMA. —In NAPOLI le Associazioni si ricevono alla Succursale della Casa editrice AMGÈLQ SOWARUGA, Mercato Monteoliveto, 3. Sommario : Il re fuori di Roma — La sentenza del Popolo Romano — La Giustizia e gli operai — L’avarizia delle bestie e un cavallo in tribunale — Fiori di stile —11 Senatore Artom e le prerogative delia Corona — Mi dicono — Sarei desolato ! — La statistica delle Forche— Spostati — Monomania querelante — Consiglio per consiglio — L’assedio delle Forche Caudine — Isa stampa d’Italia e la pugna per il diritto. Il Re fuori di Roma Interpretò rispettosamente la volontà del popolo di Roma - invitando S. M. il Re Umberto a non allontanarsi da Roma, mentre il Papa ei sta, ci rimane, e invita i Parroci a disporsi per aiutare i poveri in caso di epidemia. In Roma ha seggio il Regno : dunque ci dovrebbe rimanere sempre il Re. È uno scandalo enorme, die i Ministri e i Capi di dicastero se uè allontanino - cagionando due enormi danni a Roma ed all’ Italia: 1° Interruzione di faccende amministrative; 2° Miseria di classi artigiane. Il Papa da Roma mai non si allontana, pur dicendosi prigioniero, forse per far vedere, che i prigionieri, anche fantastici, non sono a piede LIBERO. E perchè il Capo dello Stato non imita il Capo della Chiesa ? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, dice il proverbio. Ora: il Re, buono, leale e del suo popolo amico, ascolti un umile suggerimento. Se la residenza del Quirinale in estate non è comodissima, come potrebbe parere a tanti poveri di Trastevere, che non hanno casa, faccia una cosa. Risegga in una Villa vicina a Roma, e da Roma dia i’ esempio a tutti i Ministri, con o senza Pierantoni attaccati ai santissimi Cordoni... della Santissima Annunziata, P esempio, che il popolo invoca, con rispetto sì, ma non senza brontolìo di malcontento MiNisTRATivo, Come direbbe quel giovine di belle memorie, Antonio M ordini, Machiavelli di Barga, E stia ili Roma. C era la Euffinella, villa magnifica, che fu rivenduta al Principe Lancillotti, a Frascati. Là poteva raccogliersi la Reale Maestà nei mesi di estate. Se la Rltfinelu fu venduta, ìa IL Casa di S. M. comperi un’ altra Villa, ma in Roma risegga, in Roma pensi e viva, e promuova coti’ esempio il lavoro necessario alle povere plebi - che vedono nel Re il loro storico vindice -e tribuno. Così la pensa P. Sbarbaro. La Sentenza del “ Popolo Roman o ” Il fatto moralmente più grave, dopo la Sentenza che mi condannò, è la spiegazione che ne ha dato il Popolo Romano, autorevole interprete della Morale e drila Giustizia, che fiorisce oggi in Italia all’ombra della Monarchia. Ci sono due popoli romani : quello che ingombrava l’aula del Tribunale, quello che fischiò il greve Querelante e me applaudiva, e il Popolo Romano stampato di notte per illuminare il giorno la coscienza della nazione intorno al bene ed al male, al giusto e all’ingiusto. Il giudizio del popolo romano, che vive di lavoro i e non di rapina, di stenti onorati e non di truffe e ricatti, l’Italia a quest’ora lo conosce : lo conosce a malgrado dei danari spesi per impedire che fuori di Roma si sapesse la verità intorno al pubblico dibattimento, a malgrado delle menzogne propagate dai giornalisti arrivati alle colonne di Ercole dell’impudenza, dove raccontarono, che io fui fischiato, e che il Presidente ordinò lo sgombro dell’aula perchè la folla rumoreggiò contro Tarn. Cóboevic, (!!!) mentre ciò avvenne perchè la folla unanime applaudiva l’eloquente Lopez nel punto in cui diceva così : R Querelante dichiara pazzo il professore Sbarbaro. Ma allora chi è più pazzo di lui, che si crede offeso da impazzo ? Il giudizio del Popolo di carta stampata nelle tenebre notturne merita di essere rivelato all’Italia e commentato. | Dice adunque l’organo morale di Bepretis, che se j la mia condanna è stata universalmente giudicata j troppo severa — tanta severità deve attribuirsi al-j l’intenzione di mettere un freno alla stampa che of- \ fende la vita privata. j Lasciamo da parte la importanza di questo giudi-| zio morale sull’opera mia : un confidente del Cardi-! naie Àntonelli e l’antico compilatore del Don Pir-\ loncino, certo, è molto valido e deve ascoltarsi quando ! parla di offese alla vita privata! Le Forche a que-| sfora son lette dovunque, e l’opera mia è sotto l’oc-| chio del pubblico : io faccio un’opera di apostolato, j e non di speculazione: ma lascio agli speculatoli | della stampa il diritto di parlare, di morale e di vita ! privata dall’altezza delia loro ben nota moralità. E | proseguiamo. Il confidente di Depretis parla come se la Sentenza \ l’avesse fatta lui. Con che titolo viene a spiegarne \ la severità ? È forse intimo amico del giudice Mar-| chetti, dell’ Agrusti, del Nicola e del Procuratore ! della Circoncisione ? Che cosa sa del fine che ebbero ; questi integrissimi Magistrati nel dare ragione al Ma-| stodonte senatoriale ? I paterni consigli di un Pio | Cavalli, salito a tanta altezza di fama, di scienza e ; di benemerenza nazionale da atteggiarsi a mio con-j fortatore a migliore vita, io li capisco, con difficoltà, 1 è vero, perchè dopo di averlo dato a balia quel con-j sigliere della mia vita politica e scientifica l’avovo : perduto di vista, ma infine li capisco : ma non com-| prendo un Costanzo Chiovo, che si erige ad interprete ; della mente dei Magistrati. È dunque la Giustizia i scesa così in basso in Italia, che i responsi di un Tri-i bunale devano soffrire siffatti commenti esplicativi ? | Io, giudice,mi sentirei confuso ed umiliato nel vedere tradotto da un reduce della reclusione l’oracolo della mia ragione e della mia coscienza. Oltraggio più sanguinoso non poteva farsi alla Sentenza, che mi condannò ad 8 mesi di carcere por avere detto di un Senatore ciò che tutta la stampa indipendente aveva già detto in altre forme, prima d me, ciò che ripetono tutti, ciò che gli stessi Giudici d’Italia—ad eccezione dei tre che mi condannarono,— j sanno, dicono e ripetono sull’origine della rapida e ; immeritata fortuna di un professore incapace — come ho provato — e proverò anche meglio — incapace di scrivere una pagina senza bestialità fondamentali. È manifesto, che il più integerrimo gazzettiere d1 Depretis cercò di attenuare l'impressione che fece in tutti il tenore della Sentenza ; e bisogna dire che cotesta impressione sia stata, e si mantenga in Italia ben profonda — e bene avversa al giudizio di prima istanza — se perfino il Capo-Banda de’filibu-stieri politici in trionfo ha sentito l’obbligo morale, la necessità, la convenienza di scendere dall’altezza de’propri antecedenti morali per venire in aiuto della intelligenza del popolo romano, il faticante e onesto, per fargli capire la ragione di tanta severità e rigore di pena inflittami : per avere detto che Mancini ha : fatto nominare Membro di tante cose il genero sgrammaticato. Il popolo non potrà esimersi dal costrurre nel proprio cervello, co’ semplici sussidi del suo buon senso, questo semplicissimo ma terribile raziocinio : “ Se è | “ vero che hanno condannato le Forche non perchè | “ colpevoli ma per la ragione detta daU’intermedia-i “ rio di Giacomo Àntonelli colla contessa Marconi, l i ! I ! | “ perchè nelle Forche si voleva castigare l’impor-“ tuno Stracciatore di maschere, — dunque abbiamo “ la giustizia biblica, che punisce negli uni le colpe “ degli altri, abbiamo in Italia la giustizia in blocco “ che punisce in un Pietro Sbarbaro le colpe di co-* loro che vissero di ricatti, di truffa, di scandali, “ nei primi anni delia redenzione di Roma ! „ Ecco la conclusione logica e irrepugnabile, che trarrà il popolo onesto dalle premesse del popolo notturno. Io non approvo, nè biasimo il raziocinio popolare : lo formulo e lo commento ! Lascio a cui spetta l’obbìigo di sentirne nell’anima tutta la enormità. A me basta, per la difesa della libertà della parola colpita nella mia persona dai manigoldi della stampa immonda, di ricavare quest’altra verità dal mio Processo : u Quando le Sentenze dei Tribunali'di un popolo suscitano un grido di collera negli nomini onesti di tutti i partiti, e perfino i trafficatori della penna avversi ai condannati sentono la necessità di rendere ragione j degli oracoli venerandi di un Magistrato — è segno j che la coltura .scientifica dei Giudici si trova al disotto della loro missione ! , — Ecco la mia conclusione. Escludo l’ipotesi di un mercato di coscienze. Nego, che i giudici abbiano subito pressioni, che per far j carriera, e ottener croci, od altre più turpi cause, abbiano trovato la diffamazione dove di diffamazione nessun giureconsulto, anzi nessuno studente di Legge troverà l’ombra; affermo, che hanno sbagliato, in nome | dei miei 25 anni di insegnamento della Scienza del ! Diritto, in nome dell’umile posto che con 30 anni j di studi mi sono conquistato, senza protezioni di Suo- | ceri e di Procuratori del Re — nella repubblica j delle lettere patrie ! j Finisce la Sentenza di Chiovino col deplorare che j la nostra legge non determini con precisione mag- ; giore la natura della diffamazione. Si vede che è tanto i ; giureconsulto, quanto maestro di Morale, e degno di j fare il paio con Arbibbo. La diffamazione e Yìn- \ giuria forse saranno ancora nozioni giuridiche per- j plesso e dai contorni sfumanti noi cervello di un Ni- j -cola, di un Cavalli, di un Àgrusto e di un Marchetti, ! — ma in tutti i Codici delle genti civili, e nella giu- i risprudenza, sono ormai così chiaramente e limpida- | mente definite, che ogni Studente di Legge, il quale j non abbia sbagliato carriera, e non abbia avuto per j maestro un Corazziere, può distinguere a prima giun- i ta i caratteri specifici dell’una e dell’altra. Non di i Legge nuova abbiamo bisogno, ma di Giudici più i dotti. Piuttosto si potrebbe iustituire la Cattedra del ; buon senso — nel primo anno di Legge. Con Leggi j mirabili il Senato di Roma imperiale, composto di j anime di fango, mandava al rogo i libri di Cre- j muzio Cordo : senza codici la vecchia Inghilterra ha ! tutelato la libertà della stampa — mercè la co- j scienza inespugnata di Magistrati, che non dormono j alla udienza, che non insultano con stupida viltà | l’accusato, che non venderebbero l’anima loro per j tutti i tesori delia California, e che fra un debole e j un potente hanno sempre l’anima disposta a proteg- I gere il primo contro il secondo. P. Sbarbaro. La Giustizia e gli Operai li secolo XIX, disse Guglielmo Gladstone, è il secolo degli operai. E, veramente, l’età nostra è quella dove gli uo- j mini, che vivono col lavoro delle braccia, hanno con- j seguito la massima importanza sociale, e per conse- | gnente danno il colore, l’intonazione, il carattere al j secolo in cui viviamo. Cesare Balbo, appropriandosi quasi letteralmente j una frase di Enrico di Saint-Simon lasciò scritto, che j d'ora innanzi tutta la politica e tutte le leggi si sa- i rebbero modellate e indirizzate a questo unico scopo j di migliorare la condizione economica, morale e spi- j rituale, delle moltitudini lavoratrici. Io vorrei, che ogni Magistrato, nel rendere la Giu- : stizia, specie quando sono in conflitto deboli e forti, j avesse l’occhio al problema sociale degli operai. E ; ne dirò il perchè, senza codarde reticenze, senza i passione, senza viltà. Ora, che le immense schiere dei soldati del lavoro j hanno in pugno lo scettro della potestà pubblica i - col suffragio - e in core, la consapevolezza della j loro maggioranza numerica, quale è la forza, quale i la regola, quale il principio salutare, che può ancora [ impedire un cataclisma sociale, che può ancora per- i suadere i più, che sono nullatenenti, direbbe un mendico di spirito, a non manomettere colla violenza e coll’arbitrio legislativo i diritti dei meno ? Forse la Religione ? Ahimè ! Questo supremo conforto dei poveri e degli afflitti ha cessato da lungo tempo di contenerne le passioni di quaggiù colla prospettiva di gioie oltraterrestri. Forse la Forza ?% l’opinione di quel profondo politico.. alla spagnuola, di S. E. il Duca di Gaeta, che la manifestò nel Senato del Regno col celebre grido : ferro, ferro e ferro! Ma se la forza passa nelle mani dei più? Giustamente faceva riflettere il Conte di S. Martino, che la forza è un’ arma a doppio taglio, che oggi servirà a contenere i popoli e domani diventerà lo ¡strumento delle loro vendette. Dunque? Io non vedo che la Magistratura, so è all’altezza del proprio ufficio, che possa ancora impedire agli uomini di risolvere le loro controversie politiche e sociali non coi pugni, e col ferro, e colla dinamité, ma eolia ragione. Senza la Giustizia, bene ed impavidamente ministrata, noi rientreremmo tutti nello stato selvaggio, stato di violenza e di guerra, dove l’uomo sarebbe lupo per l’uomo, come scrisse l’Hobbes, e dove dalla maggiore o minore forza dei muscoli e dei pugni ¡'ombra di una Magistratura embriogenica misurerebbe i diversi gradi del diritto in questione. Se domani il Principe Alessandro Torlonia, o il Conte Pietro Bastogi, ricusasse il salario dovuto al calzolaio o la mercede al proprio cocchiere - l’operaio troverebbe nel Giudice incorrotto di Roma o. di Firenze il vindice imparziale e immanclievole delle proprie ragioni. Ma supponete, che gli operai Romani e Toscani non avessero più fede nella rettezza di animo e nella indipendenza dei Giudici comuni al ricco ed al povero, e poi ditemi se le Barricate non suderebbero colla rapidità del lampo da Ponte Sisto a Piazza Colonna, da Palazzo Vecchio a Camcddóli, ditemi voi, se la ragione de! muscolo e la legge del cazzotto non si tramuterebbero, come per incantesimo, nella suprema lex, e nella suprema ratio di tutta, la vita sociale ! À ciò dovrebbero riflettere i barattieri della Rivoluzione coronata in Roma, i quali non r io confusi mai co’martiri della libertà, nè cogli artefici incontaminati del comune riscatto. I barattieri senza scrupoli, che sfruttano l’opera della Rivoluzione, sono coloro i quali considerano l’erario pubblico come patrimonio dei loro figli e dote delle loro figlie, per valermi della frase di Giuseppe Lafarina, mentre gli artefici delia comune libertà porgono, i primi, l’esempio giovevole del più scrupoloso rispetto ai diritti di tutti, al pubblico erario, ed al pubblico pudore, che è di quello più augusto, inviolabile, e santo! Gli operai assistono colle braccia, oggi conserte al seno, alle gesta di coloro, che vanno per la maggiore, studiano, senza volerlo, imparano, senza saperlo, dal buono o laido contegno, dalle onorate opere, o ree, dei governanti c degli ordini più felici dei consorzio umano, il buono o scellerato uso di quelle forze latenti, di quei diritti virtuali, di quelle facoltà e potenze di intelletto e di ànimo, che non hanno ancora un nome ma l’avranno, che non trovarono ancora una forinola giuridica, ma la troveranno, e sarà la formóla della vita o la sentenza di morte per tutta la civile società! Gli operai d’Italia si trovano, per cotale rispetto, oggi, qui in Roma, dove convengono da ogni paese, come gli artigiani Francesi alla vigilia della rovina di quel ramo secondogenito dei Borboni, che sdrucciolò prima nel fango delle orgie borghesi, e poscia nel sangue di una semplice sommossa. In Francia, sotto Luigi Filippo, Re probo e di costumi severi quanto i costumi di Umberto I, che è più generoso non più saggio di quello - le classi superiori della nazione davano questo spettacolo : i nobili, devoti alla Dinastia legittima, si astenevano, in massima parte, dalle cure del pubblico bene, sdegnose, impotenti cariatidi di un passato senza ritorno, e concorrevano colla inerzia delle stolide astensioni, come iu Italia i seguaci di don Margotti, a indebolire il Trono, creandogli il vuoto dintorno. Alla base del politico edificio si moveva una moltitudine senza nome, ma non senza l’orgoglio dei propri diritti sconosciuti,e coll’alterezza di pretensioni senza possibilità di legittimo appagamento. Iu mezzo di questi due mondi, divisi come da un Oceano, viveva, tripudiava, gavazzava una Medio-crazia senza morale grandezza, che si credeva eterna nell’eternità di’ splendidi tornei di una eloquenza par-