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tedeschi per 1’ 8,8 %, svizzeri per il 6,3 %, inglesi per il 3,4 %. Dopo la guerra, la percentuale belga si dovrà ridurre, dato il fabbisogno nazionale ad un terzo e altrettanto dicasi, per motivi politici, di quella tedesca. La percentuale italiana (tenuto pur conto dell’aumento degli spagnoli) non sarà più del 36,2 %, ma del 47 % che sui tre milioni di stranieri immigrati rappresenta un contingente italiano di un milione e mezzo circa. Tutto questo senza far cenno del possibile sviluppo francese e della grande richiesta di mano d’opera che vi sarà nelle regioni del Nord distrutte parzialmente o totalmente dalla guerra.
   Non si può obbiettare che le condizioni economiche locali richiedano una qualità di mano d’opera differente da quella italiana: infatti, mentre da noi vediamo che la popolazione italiana è maggiormente dedita all’agricoltura, osserviamo che gli Italiani emigrati in Francia erano, al contrario, prima della guerra, impiegati in grandissima parte nelle industrie (81 %). Questo fenomeno non è che una parte di quello più generale ma identico per cui sovente un emigrato italiano, nell’abbandonare il proprio paese, cambia anche le sue occupazioni.
   Tenuto conto di tutto quanto sopra, te