JO illustratofiat servizi burnii Sondaggio in fabbrica fra i dipendenti piemontesi, siciliani, roma ' ' Col mio dialetto di ELEONORA MINOTTO MARCO NEI ROTTI Anche un po' di tedesco Un quarto di secolo fa a Mirafiori si parlava in dialetto pie- montese. Lo parlavano gli operai, lo parlavano i capi, gal re- sponsabile della squadra al direttore dello stabilimento. La lingua d'uso, in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro era per tutti il dialetto. Poi c'è stato il boom Industriale, il miracolo economico degli anni cinquanta che ha visto arrivare migliaia di immigrati, ve- neti e romagnoli prima, meridionali poi. Intere famiglie, pro- venienti dalle regioni del sud d'Italia, si sono stabilite soprat- tutto nel capoluogo piemontese trasformando Torino nella ter- za città meridionale dopo Palermo e Napoli. Come parlavano prima di entrare in fabbrica e come parlano oggi i lavoratori immigrati? Quali mutamenti ha prodotto nel linguaggio l'in- contro nelle officine del Nord Italia? Che cosa è nato da questo intreccio di dialetti, gerghi, linguaggi tecnici e lingua italiana appresa spesso per caso, magari davanti al televisore o leg- gendo i fumetti e vissuta come una lingua estranea, quasi una lingua straniera? Se l'industrializzazione e lo sviluppo tecnologico hanno fatto nascere grandi problemi di ordine sociale hanno anche realiz- zato l'unificazione linguistica degli italiani. Tuttavia la lingua, che si uniforma sempre più in tutta la penisola, appare oggi inadeguata, spesso difficile per quanto erano abituati a comu- nicare in dialetto le proprie esperienze ma, per esempio, alcu- ni dipendenti intervistati dimostrano di essere riusciti a far fe- licemente convivere l'italiano con il proprio dialetto. «illustratofiat» ha ascoltato anche altre voci, quelle di studio- si, artisti, letterati che cercano di recuperare e rivalutare la cultura dialettale. La nostra inchiesta non esaurisce certo il problema. Il dibattito sui dialetti è soltanto alle prime battute. Prima di stabilirsi a Torino, nel '72, Francesco Pascale Carrozzeria Mirafiori, origi- narlo di Bosco Trecase (Napoli), di 33 anni, ha lavo- rato nella Svizzera tedesca. «Il tedesco non l'ho Imparato mai, soltanto qualche parola. Alla bambina, con mia mo- glie, cerchiamo di parlare in italiano, quel che sappiamo, qualche volta le parlo anche In tedesco. Il piemontese non lo capisco. Se devo andare da un piemontese gli parlo in ita- liano. Io non trovo nessuna difficoltà in fabbrica: lo non parlo nel mio dialetto e loro non lo parlano con me». Angela Pagone, 30 anni, si è trasferita da Bitonto (Bari) In Piemonte, insieme alla fa^ miglia, all'età di nove anni. Dal '70 lavora alla Fiat Mira- fiori. «Da quando sono anda- ta a scuola ho sempre parlato italiano, anche se in casa si parlava un po' di dialetto. Il piemontese non è che mi sono messa con quell'ansia di Im- pararlo. In casa non parlo 11 mio dialetto perché ho il bambino (quattro anni) e, si sa, fanno presto a Imparare». Chi dimentica Ventlsei anni, a Torino da otto, proveniente da una fa- miglia di contadini siciliani in cui si parlava solo in dia- letto, Gaetano De Vincenzo, che lavora alla Carrozzeria % di Mirafiori, si esprime in ita- f llano, anche se con difficoltà : «L'ho imparato leggendo 1 fu- metti» spiega. «Sto perdendo sempre più l'abitudine al mio dialetto e mi spiace, ma devo adattarmi alla nuova situa- zione. Fortuna che ho un ami- co piemontese cui appoggiar- mi. Per qualunque eosa vado da lui: parlare l'italiano ^in- fatti non mi riesce ancora be- ne e spesso mi fanno ripetere più di una volta quello che ho detto». Giuseppe Fumerò, 38 anni, sposato e padre di un ragazzo Lingua nobile oppure voce popolare? Brero: "Dalla gente ai letterati" Camillo Brero, impiegato ai Servizi Sussidiari Fiat, è uno studioso di dialetti mol- to conosciuto. Poeta e scrit- tore «in lingua piemonte- se», è autore tra l'altro di un «Vocabolario italiano- piemontese» e di una «Gra- mática piemontèlsa». «Ogni lingua nasce dal popolo - afferma Brero - è espressione della sua cul- tura, della sua storia, del suo cuore. à un patrimonio istintivo, genuino che viene consacrato dagli scrittori: solo loro a dargli uniformi- tà , regole per lo scrivere e la pronuncia, Ma, attenzio- ne!, piemontese, siciliano, veneto, per dirne alcune, sono lingue, rum dialetti». «Prendiamo per esempio il piemontese - continua - à una lingua di origine galli- ca: da essa sono nati per de- viazioni di pronuncia i di- versi dialetti (questi si sono dialetti): langarolo, asti- giano, cuneese, ecc. che tro- vano un'unificazione, insie- me con le minoranze lin- guistiche dei borghi alpini, nella 'lingua piemontese', quella che si scrive in un certo modo, si pronuncia in un certo modo, ha dignità propria, è parallela all'ita- liano, non è una sua sotto- specie. Visto-che cosa è il «dialet- to», veniamo al problema centrale dell'Inchiesta: l'e- J» migrazione, l'Incontro nelle fabbriche di migliaia di per- sone delle regioni più sva- riate, ha provocato un im- patto tra i diversi linguag- gi italiani. «Direi che non c'è stato e non c'è alcuno scontro fra linguaggi - so- stiene Brero - Piuttosto c'è scontro tra le persone, questo è inevitabile, portan- dosi dietro ognuno la sua mentalità , le sue esigenze, ecc. Chi arriva da fuori in una città industriale vede nell'apprendimenfo della parlata locale una via di in- serimento, ma d'altro canto non può di colpo abbando- nare la sua. Abbiamo allora un arric- chimento attraverso l'ac- cettazione di significati ed espressioni nuove? «Certo - risponde Brero - Per questo sono sempre più vive e devono essere coltivate: molti ci accusano di essere 'impallinati', fuori dal tem- po. Io credo invece che si tratti di un impegno cultu- rale e sociale, dal momento che si comunica con le paro- le e tanta gente parla istin- tivamente nel suo dialetto». Farassino: "Un gergo ogni ceto Gipo Farassino, cantauto- re, autore e attore teatrale, è uno dei personaggi più no- ti dello spettacolo dialettale piemontese. «Sul problema del dialetto - spiega - si sono create due correnti. Da una_ parte ci so- no quei cultori che parlano di 'lingua', vanno alla ricer- da delle due origini, esigono la purezza di linguaggio po- tremmo chiamarli gli 'aria- ni' del dialetto. Dall'altra parte ci sono quelli come me che considerano il dia- letto una cultura con pro- fonde radici storiche, que- sto senz'altro (saremmo pe- rò marziani se pensassimo che oggi in Piemonte si pos- sa tornare a parlare tutti piemontese) ; ma quelli co- me me lo considerano so- prattutto una cultura con la forza di una lingua parlata, mutata, collaudata dal po- polo, quindi in opposizione a quella codificata degli scrit- tori, espressa in modo lette- rario». Farassino ripropone Infat- ti il dialetto nella sua forma comune, con le diverse spaccature secondo 1 ceti sociali: «Anche in un piccolo nucleo come la fa- miglia, nelle barriere, c'e- rano e ci sono diversifica- zioni - conferma - col mio teatro cerco proprio di farle rivivere. La madre per esempio parlava in linguag- gio dei negozi, vagamente raffinato, perché era quella che andava a fare la spesa; il padre parlava il dialetto della fabbrica, completa- mente diverso, con portico-, lari forme gergali; i figli parlavano il linguaggio del bar, della 'piòla', che è an- . cora differente». Facciamo un esempio pra- tico sulla tipica famiglia operaia piemontese: «La madre chiamerà 'mnestra', la minestra, perché nei ne- gozi ha sentito voci diverse e usa la parola che traduce letteralmente l'italiano. Il padre dirà la 'pietosa', (si legge: pietusa) che ha pre- cise origini storiche: in fabbrica la minestra era data gratis o per pochi sol- di; mio zio alla Grandi Mo- tori la pagava 6 lire, il prez- zo di una sigaretta. Il figlio infine dirà la 'sbòba', con un termine barrierante- militaresco, che sa di trin- cea». «Per gli immigrati il mio teatro è un modo come un altro di inserirsi in una real- tà che li esclude a priori». di nove, caposquadra all'offi- cina '78 (verniciatura) a Mi- rafiori Carrozzeria, piemon- tese da generazioni, raccon- ta: «In casa da ragazzo ho sempre sentito parlare In dia- letto. Io lo userei volentieri anche sul lavoro, ma si è in tanti e di origini così diverse che si finisce per parlare ita: liano». Un ritorno alle origini «à un divertimento parlare In dialetto» ha affermato con convinzione Stefano Crisaful- 11 (per gli amici «Crisa»). Sposato con una ferrarese «11 Crisa» che ha 35 anni, comu- nica sia in siciliano, suo dia- letto d'origine, sia in emilia- no, imparato con grande en- tusiasmo fin dai tempi del fi- danzamento. «In fabbrica parlo italiano, sennò chi mi capisce? Siamo in pochi della mia provincia ed è difficile capirsi tra gente che parla dialetti diversi. Però le battu- te ce le facciamo in dialetto, ciascuno con il suo, e tutti si ingegnano a studiarne delle nuove, per far divertire i compagni». Parla il ferrarese con spon- taneità anche la figlia Danie- la, di cinque anni, mentre in siciliano sa dire poche paro- le. «à sempre stata in com- pagnia di mia madre - ha det- to la moglie Maristella, di 30 anni. «Anch'io - ha aggiunto - ho imparato fin da piccola il ferrarese. Mia nonna, che amavo moltissimo, nii diceva sempre: 'Quando parli il tuo dialetto ti ricordi di dove sei nata, della tua terra'. Parla- re in dialetto per me significa anche ricordare la nonna e il calore della famiglia, quando ci ritrovavamo tutti insieme nella nostra casa di campa- gna». «Viva il Veneto!» Sisto Chiereghin, 36 anni, originario di RoVigo, che la- vora alla Carrozzeria di Mi- rafiori, è «venuto a insegnare il veneto ai piemontési», No- nostante i. 17 anni di Fiat Chiereghin non si è ancora adeguato al linguaggio degli altri. «Il veneto è 11 vero dia- letto della lingua italiana» af- ferma. Il piemontese? «Ilpie- montese è il latino "con l'a- postrofo». Dietro alle battute che Trinchetto, (così lo hanno soprannominato i compagni di lavoro) ha pronte per chiunque faccia riferimento alla sua ostinata e marcata cadenza veneta c'è la precisa scelta di parlare il proprio dialetto non soltanto in fa- miglia ma anche sul lavoro, con 11 capo squadra che pure appartiene, da generazioni, a una famiglia piemontese ma che si presta con curiosità e disponibilità a comunicare anche in dialetti diversi dal suo. Fedele a questa scelta, la moglie di Chiereghin, tradu- ce in dialetto veneto e incide su nastro le più belle fiabe italiane per le sue bambine, Silvia, di nove anni e la picco- la Sara, di quattro. «Anche la maestra di Silvia - ha detto la signora Luisa - ci ha incoraggiati a parlare dia- letto in casa perché sostiene che è meglio parlare bene il proprio dialetto piuttosto che un italiano stentato». La fi- glia maggiore, che adesso frequenta la quarta elemen- tare, non ha per questo in- contrato difficoltà a leggere o a scrivere. Lei e la sorellina si esprimono indifferente- mente In dialetto e in italia- no. «I primi mesi di scuola - ha ricordato la madre - salva- ta va tutte le doppie, ma con un po' di pazienza siamo riu- sciti a correggerla».