Pianta di Milano verso la metà del secolo XVI; da un disegno della biblioteca ambrosiana di G.B. Bonacina. E si continua, la domenica, a passeg- giare in mezzo alla strada, quasi le automobili fossero, in centro, carroz- ze e, alla periferia, carri di fieno. Ci si tiene per mano lungo i bastioni, sotto i quali gli alberi, tagliati ma non sradicati, hanno steso una fitta rete di verdura segreta il cui fresco respiro, passando attraverso le pie- tre, reca odori d'altri tempi e d'altri luoghi; lungo gli antichi navigli, con la stessa lentezza delle loro acque sotterranee; lungo i grandi viali i cui giganteschi caseggiati sorgenti dove una volta si estendevano le marcite hanno raggiunto e circondato di ce- mento le vecchie cascine, non però così da soffocarle, lasciando, anzi, intorno ad esse quel tanto di prato che le aiuti a conservare i loro colori di campagna, o il celestino o il rosa. Parte sono state trasformate in ristoranti, ma in molte, intatte, abitano ancora, come in miracolose isole popolate di galline e di conigli, i con- tadini, cui l'alba viene annunciata dalla cima dei grattacieli. La cascina Corba, la cascina Sant'Antonio, la cascina Besana, e in fondo a via Ripa- monti, laggiù, verso Pavia, la cascina Camponuovo, la piccola chiesa dell'Assunta e una stradetta intitolata al Cuore Immacolato di Maria, così come dall'una e dall'altra parte di via Lorenteggio, verso Vigevano, ci sono le strade intitolate ai fiori, via delle Rose, dei Giacinti, dei Gigli, dei Gelsomini, fiori che a Milano non esistono più, ma ne rimane il ricordo nei nomi incisi sulla pietra, nei prati intorno alle cascine, nei gruppi vestiti a festa sulla piazzetta della chiesa dell'Assunta, nel sole dei grattacieli che fa da orologio agli ultimi contadini assediati dal cemento. G. M. 37