p O E S I A L X B. III. Vi altrui , per giudicare perfettamente le materie Poetiche. Non però di meno dirò francamente d’effermi fludiato di non peccare almeno per odio , o per affezione in quelli giudizj, effendomì propofto di candidamente aprire quel folo, che F Intelletto, non F Affetto , avrà qui penfa-to , nulla mirando io a guadagnarmi la grazia d’ alcuno , ma folamente a dire quello , che mi par Verità . Se pofcia l’intelletto avrà colpito, o no, i veri Saggi ed eruditi potranno avvedertene ; perocché eglino fo- li faranno i veri Giudici di quelli miei giudizj . E alla decifione d’ elfi ancora da me fi dovrà predare riverenza , qualora veniffe loro talento di efercitare contra quelle mie Olfervazioni la loro autorità, alla quale fot- tometto, non che quelle , tutte le altre cofe mie. Poiché in fine benché il Bello della Poefia fi fondi fulla Ragione , tuttavia in quanto al piacere , o non piacere , molte volte 1’ opinione vi ha non poca parte maffimamente ove fi tratta del piò e del meno . E perchè le opinioni fono moltifiime , e diverfiffime fecondo la diverfità de’ gulìi : facile è, che fia qualche volta alquanto differente dal mio , e ancora più diritto, che non è il mio , F altrui giudizio (opra quelle medefime Poefie , a leggere e contemplar le quali ora palliamo . Che fe in effe per avventura s incontraffero voci o fentimentj , che non ben fi accordeffero co i divini infegnamenti della Religione e Chiedi Cattolica , i Lettori vorranno ben ciò perdonare alla tollerata libertà della Poefia , efsendo tutti quelli Autori nel cuore figliuoli della vera Chieda , benché talora nelle parole fem-brafsero feguaci del Gentilefimo. ' Del 'March. Aleffandrò Botta-Adorno . ALLA SANTITÀ DI N. S. CLEMENTE XI. Più Rime io vaneggiando avea già fpefe Dietro a un dolce bensì, ma vii lavoro, E nel natio d’ Arcadia -umil paefe Serti io cogliea di non volgare alloro ; Quando Fama immortai per man mi prefe, E a Te mi trafse, e mi diè Cetra d’oro, E mi additò tue fante eccelfe Imprefe , Onde mio nuovo Stil volgeffi a loro. Ma in lor tal luce , e maellà mirai, Che per ftupor, di fuon la Cetra priva Di man mi cadde , e muto , anch’ io reltai. E dilli appena : Ah Virtù vera e viva Deponi alquanto i fovrumani rai , Se vuoi del tuo Signor eh’ io parli e feriva . La bellezza di queflo Sonetto , che a me pare eminente , confifle nel-B b 2