Rom.?. Erod.jx. tfal.7. TerZjO giorno dì Quare(ima, po> fece oratione sì feruente per quei, che lo lapidauano . Town- A ne Iefu , accipe ffiritum meum, & ne ftatum illis hoc peccatum . Coll era nobile quel gran Capitano diChrifto San Paolo Apoftolo. I Giudei lo cacciauano dalle Sinagoghe,lo flageliauano, lo lapidauano, haueano hormai piuefofo San Paolo , che non hebbero Chri-fto,e nondimeno odi,che generofo cuore,che animo rcale.Opra^w ego ipfe anathema effe pro fratribus meis. O vchementc, & fmi fu rata carità di Paolo, Chriftoera il fuo vnico amore, non amaua altro che lui, ogni cofa reputaua nulla per lui,e pure perche fi faluino i fuoi nimici, cotanto è ebbro, che come fuor di fe,vuol cfler feparato da Chrifto, andar per vn tempo all’inferno , perche effi vadino per femprc in Cielo. Optabam ego ipfe anathema e fi e pro fratribus meis. Coli B era nobile il gran Mosè, che nell’idolatria del vite! d’oro, veduta l’ira di Dio, acccfa contra il fuo popolo, fi volge al Signore, a cui era si caro,e magnani mo dice. Aut dimitte eis hanc noxam, aut dele me de libro, in quofcripfitti me. O nobilifiimoDuca , poco inanzi fecero feditone contradi te, ti volfero lapidare, e tu che hai l’arra del diui-no amore,per lor falute ardifei tanto, che metti a partirò Iddio, ò Cancellami del libro tuo,che io non voglio efferui fcritto, leuami quel gran grado di gloria, che m’hai preparato, ouero perdonagli. Cofi era nobile il granDauid, Saul loperfeguitaua, l’infidiauano i Filifteifi fuoilofcherniuano,&eglidicea.Si reddidi retribuentibus mihi mala, decidam merito ab inimicis meis inanis. S io rendei mai onta per G onta, danno per danno, Signore, tu’l fai, fa che io cada in mande miei nimici. O dolce vecchio.ò dolciflìmo cuore. Abfalon fuo diletto figliuolo,in tante dclitic da lui nodrito,inurbano,ingrato,col configlio d’Architofel,fi rubella al canuto padre, machina di torgli la vita.e’l Regno ; ò federato figliuolo ; fcocca l’arco l’ira di Dio, contra di lui’muore infclicca rami di vna querciaappefo,- è portatala noua al Re, vfeifle fui corridore, e incònfolabilmente pian-i.Reg.18. Sen<^° fiftrugge ; Abfalon fili mi, Abfalon quis mihi det,vt moriar pro te ? O che nobiltà grande è quella, Roma, tanto piu degna, quanto è più rara. Non te la danno i padri, non la fortuna,non la natura 5 mala virtù., la volontà tua,l’animo proprio,tu ftefio ti puoi volendo no- D bilitare, farti pare, e maggiore del gran Celare,che era sì facile à per donarci ingiurie. O che gloria, che honore, Romani, farà il volito. Rinouate,rinomate quella voftra nobiltà natia,quello fplendo re caduto della gloria voftra, amate ilprofiìmo voftro, reconcilia-tcuijfe fete irati con i voftri fratelli, perdonate volentieri ogni offe-fa riccuuta, & adoperate l’olio della compatitone verfo gli altrui di fetti; inebriateui d’amore, che niuna bcuanda è piùpreclara di que fta. O infelici noi,che con l’olio habbiamo ancora perduto il vino. Io pollò ben dire come difte alle nozze Maria per pietà dello fpo-ioan.i. fo , e della fpofa, Vinum non habent. Non ce più vino , non c’c più