I AMMINISTRAZIONE PROVINOIALI ANNO II - N. 4 5 Í »8 Febbraio - 15 Mane 1854 «non Í QUINDICINALE D’INFORMAZIONE PER LA MONTAGNA Contiene i comunicati dell’UNIONE NAZIONALE COMUNI ed ENTI MONTANI (U. N. C. E. M.) DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Novara, Via dei Caccia n. 4 - REDAZIONI: Novara, Via dei Caccia n. 4; Roma, Via Salandra n. 6 - INSERZIONI per mm. d’altezza, larghezza una colonna L. 40 oltre le tasse; indirizzare all’Amministrazione - Scritti, fotografie, disegni, anche se non pubblicati non si restituiscono. - Spedizione in abbonamento postale, Gr. II - Un numero L. 25, arretrato L. 40 - Abbonamento annuo L. 600. ’ DIRITTI DEI MONTANARI difesi alla Camera ilnH'ini, Girando li di italiani atMono dal Governo di essere mirali parte integrante della Nazione SIGNOR PRESIDENTE, O-NOREVOLI COLLEGHI. Poteva forse sembrare una presunzione il voler prendere la parola la prima volta in questa aula proprio in un dibattito così importante e così impegnativo, quaPè quello che si sta conducendo per la fiducia al Governo. Ma penso che di fronte all’ora tarda e a tante assenze non sia il caso> di sentirsi troppo impegnato alla massima dell’onorevole Vittorio Emanuele Orlando, che consigliava, come è noto, ai deputanti di prima legislatura di ascoltare e tacere. Preferisco quindi riferirmi all’opinione di un altro illustre parlamentare, a me particolarmente caro perchè della mia provincia, all’onorevole Giovanni Giolitti che riconosceva sempre cosa conveniente e giustificata il parlare quando si avesse qualche cosa da dire. Ed io credo infatti di avere qualche cosa da dire proprio in relazione al programma politico e sociale esposto dal Presidente del Consiglio; in relazione alla linea di azione che il nuovo Governo si propone al fine di adempiere al mandato che si è posto: essere cioè non il Governo di un ristretto gruppo di partiti, ma il Governo della Nazione. Quanto ho da dire non si riferirà a questioni di alta dialettica politica : troppa se ne è fatta in questi sei mesi in occasione delle quattro crisi, e certo non tutti i discorsi sono serviti a chiarire le idee agli italiani, nè ad appianare le difficoltà per costituire un Governo stabile. Su quanto concerne le ragioni per cui noi daremo la fiducia a questo Governo parleranno altri della mia parte, indubbiamente con maggior autorità e con maggior competenza di quello che io poirei avere. Io parlerò di un problema sociale particolarmente grave, di un problema sociale che è politico, di una politica — permettete che io usi una espressione che è cara oggi alla diplomazia — di alto livello: ma qui il livello è veramente da considerarsi dal punto di vista altimetrico, perchè voglio parlare del problema della montagna. Quanto ho da dire, non è soltanto una mia opinione personale ma è la voce di alcuni milioni di italiani, che appunto >dal Governo della Nazione attendono di essere considerati parte integrante della società nazionale nello spirito di una comprensiva solidarietà civile e democratica. Si tratta di quei montanari che nonostante il ben noto spopolamento delle valli assommano ancora, a tut-t’oggi, a circa 6 milioni di persone, sparse su oltre un terzo dell’intero territorio nazionale; di quei montanari e di quella loro montagna verso cui il programma governativo ha un fugace accenno diretto e alcuni accenni indiretti, sufficienti tuttavia a permettere lo sviluppo di quella politica montana che l’onorevole P anfani ha coraggiosamente avviata fin dal 1949 e che massimamente dal 1952, con la legge del 25 luglio, ha aperto il cuore alla speranza e più ancora all’attesa di provvidenze più vaste, di un ordinamento più completo, più rispondente alla complessità di una questione di cui si parla da decenni e della quale • troppo poco si è ancora capito in quello che è il suo aspetto sociale ed umano. Problema sociale ed »mano Non sarò io ad avere la pretesa di farne una analisi approfondita. Non è questo il momento più opportuno per l’esame di un problema specifico —• che è del resto tuttavia un problema di portata nazionale. Altri lo ha già fatto parzialmente quest’autunno, in occasione della discussione dei bilanci dell’Agricoltura e dell’Interno; altri lo farà in seguito, in occasione di speciali provvedimenti che verranno all’esame del Parlamento. Non è neppure qui in argomento il giudizio che Governo e Parlamento possono esprimere sul problema della montagna e sui montanari, quanto invece il giudizio che i montanari possono esprimere sullo Stato, sul nostro Stato italiano democratico e repubblicano, nella sua funzionalità centrale e periferica. Questo giudizio io vorrei modestamente interpretare, convinto che esso possa avere un suo peso e valore, non solo per l’entità della massa dei cittadini da cui promana, ma ancora perchè esso rappresenta un punto di vista caratteristico che è forse stato troppo trascurato nelle valutazioni che intorno allo Stato e alle sue attività si sono fatte e si vanno facendo sulla base di altri punti di vista, tutti rispettabili, ma rivolti troppo spesso a tutelare interessi magari più vasti, ma circoscritti. E ciò, se si vuole davvero che lo Stato sia lo Stato di tutti, lo equanime tutore dei diritti ed interessi di tutti i cittadini. Il territorio montano, che — come ho già detto — occupa oltre un terzo della superficie del nostro paese, fa parte integrante del suolo nazionale e, per la sua struttura geofisica, condiziona fattori ambientali particolari e determina una economia specifica, nonché esigenze, necessità e problemi che impongono da parte dello Stato un’attenzione ed una legislazione adeguate. Da oltre 50 anni esiste in Italia il problema di questa legislazione e di questa politica. I primi atti sono appena di ieri: le due leggi del 1952, quella del 2 luglio n. 703 riservante l’uno per cento in più del-l’IGE a favore dei comuni montani e la legge 25 luglio n. 991 a favore dei territori montani, la legge 27 dicembre 1953 per il sovracanone da parte delle società idroelettriche a favore dei comuni montani, cui vanno aggiunte la legge Fanfani del 1949 istituente i cantieri scuola di lavoro e di rimboschimento, la legge per le zone depresse del 1950 e le due leggi Tupini del 1949 e del*. 1953, leggi, queste ultime, che, se anche non rivolte esclusivamente alle zone montane, hanno tuttavia pure già recato qualche sensibile beneficio. Nel frattempo però, vale a dire dal 1900 ai 1949, migliaia e migliaia di montanari hanno abbandonato la montagna. Molti, specie nei primi tre lustri del nostro secolo, sono e-migrati all’estero, molti, invece, sono rimasti nelle nostre città e costituiscono essi e i loro figli, circa il 60 per cento della manovalanza generica che si assiepa agli sportelli degli uffici di collocamento. E questo è uno solo degli effetti della inconsulta politica degli scorsi decenni. Altro aspetto del problema è presentato dalla situazione di miseria e di abbandono delle popolazioni rimaste in montagna, dalla depressione economica e colturale di immense plaghe dove, alla disoccupazione semipermanente degli uomini, si aggiunge la inutilizzazione di immensi spazi un tempo verdeggianti di boschi e di pascoli. Ma non gli effetti ci interessano qui, ma la causa di questi fenomeni, la quale investe lo Stato nelle sue responsabilità e nelle sue funzioni essenziali. Il senatore Sturzo ha autorevolmente lamentato, nel suo discorso al Senato, il male dello statalismo, che porta inevitabilmente al socialismo di Stato, che è quanto dire al capitalismo di Stato. Questo male può essere indicato anche sotto un altro nome che, a mio modesto parere, ne rivela il" punto nevralgico in quella centralizzazione dei poteri, delle facoltà, delle competenze che di tanto attenua la sensibilità e l’aderenza ai bisogni e alle situazioni particolari della periferia, di quanto essa centralizzazione, per difetto della sua strutturazione mec- II Presidente del Consiglio, nella sua replica alla Camera durante il dibattito per la fiducia al Governo, rispondendo all’on. Giraudo ha detto di potere assicurare che l’attuazione della legge 25 luglio 1952, n. 991 sta già dando i suoi primi frutti anche se la sua influenza sarà pienamente sentita dopo che sarà entrato in fase di piena esecuzione il piano decennale, che come tutti i piani tecnici, è rallentato all’inizio dalle esigenze della programmazione. In fase di esecuzione saranno corrette anche le inevitabili discordanze che un piano generale presenta inevitabilmente con le situazioni locali, in modo di andare incontro a tutte le particolari esigenze delle singole zone. ——————— canica, non riesce a seguire e ad adeguarsi con agile prontezza alla realtà viva nel suo costante fluire. Più lo Stato ha cercato di farla da padrone, là dove poteva limitarsi al compito di vigilante coordinatore e propulsore, e più esso è diventato schiavo del proprio meccanismo burocratico, incapace di cogliere la collettività tutta intera nelle diverse specifiche condizioni di ambiente in cui la stessa è variamente distribuita. Sotto la pressione dei molti interessi, fra loro contrastanti, divergenti o comunque differenti, lo Stato ha subito così la azione delle forze più evolute,