«INDIE D’EUROPA»: POLONIA, LITUANIA E MOSCOVIA 83 stado de altri, solum aver il nostro, et semo streti in liga et confederation con la Cristianissima Maestà, da la qual mai semo per partirsi, secondo il nostro istituto»1%. Del tutto negativo appariva dunque il bilancio dell’intera vicenda. La mediazione polacca non aveva portato ad alcun risultato concreto. Gli oratori ungheresi, che avrebbero dovuto affiancarsi all’opera degli ambasciatori polacchi, non erano mai partiti196 197. Il tentativo di proporsi come il centro di raccolta di tutta la cristianità si era scontrato con un significativo silenzio. Ciò nonostante, di lì a qualche settimana, le circostanze avrebbero nuovamente dato motivo a Venezia di seguire con attenzione le mosse della diplomazia polacca. Il 13 marzo 1518 moriva infatti Ladislao II Jagellone, re di Ungheria. Prima di morire, informa il Sanudo198, «chiamato a sè l’orator polano [...] aricomandò al Serenissimo re suo fratelo lo unico figlio et erede suo re Lodovico». Le sorti dell’Ungheria, dunque, dipendevano ora anche dalla politica di Sigismondo il Vecchio. Quest’ultima, però, sembrava orientata sul momento a curare soprattutto gli interessi imperiali199. Correva voce, inoltre, che «l’Imperador voi aver 4000 polani in suo ajuto contra la Signoria nostra»200. Notizie di questo genere, possiamo arguire, avevano l’effetto di rendere Venezia ulteriormente sospettosa nei confronti dei Polacchi. Numerosi erano tuttavia i segnali che non permettevano di attribuire troppa importanza a un eventuale pericolo rappresentato dalla Polonia201. L’opposizione all’influenza straniera in Ungheria si dimostrava 196. T 21:516 e 517. 197. T 21:336. 198. T 22:63 e 70, 349. 199. Così, P8 luglio 1516 il Sanudo annota: «È da saper: in questi zorni vene uno secretario dii re ai Poiana per tratar acordo con l’imperador et la Signoria; unde per farli risposta, fo ordinato far oration per le chiexie, e tratata questa materia nel Consejo di X con la zonta. Li fo risposto non ad vota, et partì non ben contento di la Signoria nostra. Voi, volendo farpaxe, si lassi la diga con Franza» (T 22:350). Su altri movimenti degli oratori polacchi, cfr. T 22:162, 175, 290, 365-366. 200. T 22:556. 201. Il fatto, ad esempio, che il re di Polonia era «occupatissimo ne le guere con el ducha de Muscovia recusante fin hora voler venir a pace aut concordia con sua Maestà, di maniera che le molte promissioni per la Maestà Cesarea, lo anno preterito facte al prenominato Serenissimo polono in tal materia, per quello si vede hanno poco operato» (T 22:132 e T 23:514). Ma sono da prendere in considerazione in questo caso anche le parole dell’ambasciatore polacco «qual è episcopo Uladislaviense, qual alias fo orator ala Signoria insieme con un altro, e li [all’ambasciatore veneto in Ungheria, che scrive da Buda nel maggio 1517] usò bona verba [...]. Poi li disse voleva parlar come amico e a bon fine, dicendo il suo Re come buon amico di la Signoria si fatichò mandar ambassadori a Venecia per far la pace con l’Imperador, e da la Signoria mai è stà ringratià, ch’è stà mala cosa e si non con oratori, ringratiarlo almen con