Idei libri del mesei GIUGNO 1994 - N. 6, PAG. 12 L'amore è un dardo <3 la grande stagione europea della fin de siècle. Dalle prose narrative iniziali, di un D'Annunzio "impaniato nel Verismo", si passa ai romanzi maggiori come II piacere, dove l'autore si riporta "alle radici della contemporaneità", al romanzo di fine Settecento, e ritorna allo schema dell 'educazione sentimentale, che ritroveremo anche nei romanzi successivi, Il trionfo della morte, La vergine delle rocce e II fuoco. Pari attenzione viene data al teatro, dove dominano i personaggi femminili: è l'epoca, infatti, delle grandi attrici-dive, non solo Eleonora Duse (la musa ispiratrice), ma anche Sarah Bernhar-dt, che interpreteranno le sue donne forti e sensibili, sensuali e intellettuali, eroine che devono a poco a poco prendere il posto dell'eroe stanco, del seduttore in declino. I due libri si affiancano e si integrano, dando all'opera dannunziana il peso che merita nel panorama europeo del Novecento. Perché D'Annunzio, caso forse unico nelle lettere italiane, fa di tutti i modelli culturali, i reperti e le reliquie, le perle e i cascami, un suo mondo poetico. La sua modernità (e il suo dandismo) consistono nell'aver capito che la poesia nasce anche dalla contaminazione; e così, con grande consapevolezza, costruisce la sua poesia contaminata e il suo Vittoriale, grande museo-monumento al falso. E la sua modernità consiste anche nell'essere tutto (e nulla) contemporaneamente: il vero e il falso, l'arte e la vita, il bello e il brutto, il raffinato estetismo e il kitsch più smaccato. Ma soprattutto nel suo essere, come Wilde, "grande signore del linguaggio". Dalla citazione al plagio, dall'assemblaggio al furto, usando senza pudori tutto il repertorio di modi e stili tratto dal bazar della tradizione, D'Annunzio fa seriamente i conti con la morte dell'arte, del linguaggio, elevandovi contemporaneamente un monumento che tutto può suscitare fuorché l'indifferenza. MIIQUMV ASTROLABIO Margaret I. Little VERSO L'UNITÀ FONDAMENTALE Trent'anni di confronto con se stessa e con i pazienti nella psicoanalisi ♦ Thich Nhat Hanh TOCCARE LA PACE La pace è a portata di mano basta toccarla e aprirsi al miracolo di essere vivi ♦ Béla Grunberger NARCISO E ANUBI Psicopatologia e narcisismo Due facce inquietanti antitetiche e complementari della psiche umana ♦ Doug Boyd SWAMI La spiritualità più antica del mondo sotto il microscopio della tecnologia contemporanea ♦ Stephen M. Johnson IL CARATTERE SIMBIOTICO Una teoria della formazione del carattere un approccio teorico e clinico alla personalità simbiotica AsnniAMA AlphONSE Daudet, Saffo, a cura di Cristina Rognoni, e/o, Roma 1994, pp. 173, Lit 13.000. Vi sono autori difficilmente collocabili in una geografia letteraria perché spaziano su regioni immense (è il caso di Hugo, ma anche di Flaubert o di Zola) e altri che all'opposto si trovano spersi in ogni territorio, ogni ambito pare loro inadeguato perché troppo vasto o impegnativo. È questo il caso di Alphonse Daudet regolarmente do- miciliato presso i naturalisti ma che non si è mai riconosciuto, come di prammatica, in questa collocazione: "Per quel che mi riguarda non sono naturalista, non ho mai scritto una sola volta questa parola". Questa posizione liminare di Daudet gli vale, grazie anche al suo temperamento vivace e cordiale, le generiche simpatie del gruppo, a parte il disprezzo di Jean Moréas: "Quello è al di sotto di tutto...". Ciò che si ammira particolarmente in lui è la sensibilità letteraria, l'abilità descrittiva, il tono elegiaco di certi racconti, la finezza dei ritratti psicologici, mentre ciò che gli viene rimproverato è la vena un po' troppo "femminile", la scarsa originalità che ne farebbe un imitatore; al riguardo il più severo ed esplicito è Mirbeau, il quale deplora "il suo ingegno da saccheggiatore guascone, che se ne va rapinando un po' dappertutto, a destra e a manca, da Zola a Goncourt, a Dickens, ai poeti provenzali". Anche gli amici del gruppo naturalista vivono un rapporto contraddittorio con il "ragazzo" Daudet. Zola, di Alberto Castoldi che alla morte dell'amico dichiarerà: "Daudet è stato ciò che v'è di più raro, di più incantevole nella letteratura", aveva visto in precedenza in lui "il bohème vizioso, il repubblicano del momento, un temperamento da cattolico meridionale...". Edmond de Goncourt, in particolare, manifesta un rapporto contraddittorio nei suoi confronti, che però riassume bene quello generale, improntato sostanzialmente all'ipocrisia. "Il caro Daudet è troppo coccolato. Tutta la stampa intona elogi per Saffo, ne vende 100.000 copie, il suo libro uccide tutti gli altri ed il mio in particolare, — e per di più basta qualche scalfittura per renderlo scontento, irritato, amaro". Quasi non bastasse il successo seguente è anche più strepitoso e Edmond ha un attacco di bile: si tratta, a suo dire, di "una specie di Tartarino in Svizzera, una trovata che gli viene pagata 275.000 franchi! Avete sentito bene mani di Gautier, Flaubert, Murger, ecc. voi pagati da Lévy 400 franchi a volume". Persino Daudet questa volta è sconcertato e un po' se ne vergogna, ma Edmond rincara la dose: "la somma è tale che scusa davvero un po' di commercio nell'esistenza letteraria. E poi voi non siete solo a questo mondo come me... Che diamine! avete dei figli". Ciò che lo rende sopportabile agli "amici" nonostante il successo è la consapevolezza che di fatto questo bonheur è solo apparente: Edmond, in particolare, studia ogni giorno il volto dell'amico per scoprirne la progressiva decadenza fisica, ciò che gli sembra ristabilire una sorta di equilibrio rassi- curante: "Daudet con i lineamenti tirati, i suoi bei capelli morbosamente stirati, l'occhio spento... è un uomo che ha paura di cose misteriose, torbide e dolorose che si agitano nelle profondità del suo essere". In realtà Daudet è ammalato, avendo contratto la sifilide fin da giovane, e lo confessa finalmente a Edmond: "Il povero caro ragazzo mi dice questo con il corpo pecorso ad ogni istante da dolori..." Le sue infelici condizioni fisiche lo rendono accettabile: "Trovo oggi Daudet completamente depresso, infelice... Ironia di questo mondo, il povero ragazzo ha ora uno dei più straordinari successi che un letterato possa avere, e non può goderne". Daudet diverrà infatti ben presto consapevole, con l'aggravarsi della malattia, d'essere destinato a una morte atroce sulla scia di una drammatica sequenza di intellettuali malati di sifilide: Baudelaire, Jules de Goncourt, Maupassant... e ne fornirà alla fine del percorso una testimonianza di straordinaria intensità in La doulou, (Lubrina, 1992). "Homo duplex", dunque, come egli stesso si definiva, ma non solo per quanto concerne il versante biografico, bensì relativamente alla scrittura stessa, in cui l'apparente felicità/facilità occulta un impegno accanito: lavora anche diciassette ore al giorno, e quando licenzia un romanzo è letteralmente sfinito. Chi ha perfettamente colto questo aspetto è, e non ce ne stupiremo, Marcel Proust, il quale scrive: "Quegli stessi che parvero ai contemporanei come i più 'romantici' non leggevano che i classici... Alphonse Daudet, il meno 'libresco' degli scrittori, la cui opera tutta modernità e vita sembra abbia ripudiato ogni eredità classica, commentava senza posa Pascal, Montaigne, Tacito". Non è certo un caso che anche Zola concordi con la definizione di Daudet quale interprete della modernità: "Oggi è uno dei rari scrittori capaci di scrivere un romanzo in cui scorra il grande soffio della vita moderna". Troviamo la migliore esemplificazione di questa scrittura della modernità in un romanzo recentemente riproposto da Cristina Rognoni, per le edizioni e/o: Saffo. Il romanzo, che adotta un titolo allettante secondo la moda decadente (si pensi a Monsieur Vénus di Rachilde, o a Méphistophéla di Catulle Mendès) ebbe, come testimonia Edmond de Goncourt, un grande successo, e fu unanimemente ritenuto il suo esito migliore: "La Saffo di Daudet è il libro più completo, più umano che egli abbia fatto. Il suo talento fino ad allora un po' femmineo, diventa in questo romanzo un talento maschile". La vicenda si svolge nella Parigi di fine secolo, polo di tutte le ambizioni esattamente come lo era stata per gli eroi balzachiani, e se è ormai scomparsa la mansarda dell'artista, come luogo deputato ad accogliere gli esordi dell'ascesa sociale, restano le umili origini dei protagonisti, la loro esistenza ai margini della società, a contatto con l'ambiente artistico. Una festa propizia l'incontro fra due giovani: Jean Gaus-sin, come Daudet proveniente dal Midi e giunto nella capitale per sostenere un esame d'ammissione agli uffici consolari, e Fanny Legrand, bellissima modella nota nel suo ambiente con il nome di Sapho. Il soprannome dovrebbe alludere a una qualche connotazione perversa, o alla tipologia della "femme fatale", in realtà Fanny si rivela essere un personaggio quanto mai tenero e possessivo in grado di imprigionare Jean in una gabbia di affetti via via sempre più costrittiva, che si definisce innanzitutto nell'acquisizione di uno spazio-prigione, un appartamento: "La trappola. Ci cascano tutti, i migliori, i più onesti, per quell'istinto di proprietà, quel gusto per l'home che l'educazione in famiglia e il tepore del focolare ha instillato loro". Così commenta Daudet, ripensando forse alla sua giovanile esperienza con Marie Rieu, nei suoi primi anni parigini. Il romanzo vive allora sulla "fatalità" di questa passione in cui si riassume tutta la personalità di Saffo, passione assoluta che sembra poter vivere di natura propria, indipendentemente dalla risposta dell'oggetto amato: "... restare fino alla morte il tuo cane che ti ama, che puoi picchiare, e che ti manda un'appassionata carezza...", così scrive Saffo a un Jean sempre più distratto, ma anche sempre meno in grado di opporsi a una devozione così totale da essere assolutamente ricattatoria. La caparbia passione di Fanny finisce infatti con l'avere la meglio su Jean, il quale ha un giorno la rivelazione quasi improvvisa del proprio amore, vissuto come un profondo disagio: "Amava. C'è nelle parole che usiamo normalmente una molla nascosta che d'improvviso le apre fino in fondo, ce le spiega nella loro intimità eccezionale; poi la parola si ripiega, riprende la sua forma banale e rotola insignificante, consumata dall'abitudine e dagli automatismi. L'amore è una di queste parole". Ma il prezzo dell'iniziazione alla passione è, in questa sorprendente costruzione narrativa, la rivolta di Saffo, che ora è in grado di rifiutare a sua volta l'amore di Jean con una dignità estrema che si nega a ogni sentimentalismo. E in effetti Saffo assurge proprio nelle pagine finali del romanzo al ruolo di reale protagonista, rompendo con tutta una lunga tradizione che voleva l'eroina sacrificata alla crescita del personaggio maschile, e disegnando un "tipo" di straordinaria novità nel panorama misogino degli "idoli di perversità",//» de siècle. Il cuore delle Confessioni SANT'AGOSTINO CONFESSIONI Volume III: Libri VII-IX A CURA DI G. MADEC, L.E PIZZOLATO, M. SIMONETTI TRADUZIONE DI G. CHIARINI fa » * J W'Z ^ ^Jfwg ìliPPÌflP: » * V r*lli è « Àh Jn jfl , jb Dall'abbandono del manicheismo alla visione estatica di Ostia. Scrittori Greci e Latini FONDAZIONE LORENZO VALLA (con il contributo del CREDIOP) ili O JW D A D O