► lido e innovativo (come Fiat, con Punto), sia con i mediocri, che sono diventati improvvisamente competitivi. Non si spiega altrimenti una crescita così rapida e discontinua dei nostri prodotti anche verso i Paesi più difficili. Il dollaro basso, inoltre, ha evitato il trasferimento sui costi della svalutazione della lira. Ma la competitività delle nostre imprese è migliorata anche perché durante la crisi molte imprese hanno saputo ristrutturarsi e riorganizzarsi». - Il processo di privatizzazione delle aziende pubbliche può influire sulla situazione economica e industriale e sugli assetti strutturali della nostra competitività? «Dobbiamo introdurre la concorrenza in tutti i servizi pubblici, il settore dove siamo più arretrati rispetto agli altri Paesi. Dobbiamo quindi definire dei meccanismi competitivi che stimolino l'efficienza, riducano i costi, introducano processi di tipo privatistico (anche nei contratti di lavoro, nella flessibilità, nella mobilità, nella professionalità) tali da soddisfare meglio il consumatore. È un percorso che in Italia non abbiamo mai iniziato. Anziché parlare di privatizzazione dobbiamo liberalizzare i mercati e introdurre culture nuove che superino quella che ha caratterizzato fino a oggi il mondo dei servizi». - Qual è il ruolo della grande industria? E quello della piccola? «È uno dei temi sui quali si misura il livello di cultura economica e industriale del nostro Paese: il dibattito continuo e talvolta accanito, che si è svolto in Italia per mettere in evidenza il miracolo delle piccole aziende e il malessere delle grandi, è di basso profilo. L'industria è un "sistema" dove ci sono le grandi, le medie e le piccole imprese e dove c'è una continuità fra loro. La forza delle maggiori economie è direttamente proporzionale alla continuità del loro tessuto industriale. Oggi, le grandi imprese hanno imparato a farsi piccole e flessibili: l'azienda mantiene le funzioni strategi- '/ reparto tintura della Siria Fibre alla Euro jersey di Carolino Pertusella (Varese) che dentro se stessa, mentre decentra sempre di più il resto. È diventata cioè un network gestito dal centro, ma frammentato in una miriade di imprese minori. In Italia ci sono ancora troppe aziende che stentano a farsi piccole e troppe piccole che non riescono a diventare consistenti». - La competizione internazionale è sempre più serrata. Lo sviluppo tecnologico può essere l'arma decisiva? «La competizione oggi è mul-tidimensionale e su più funzioni: una volta si poteva vincere facendo leva su un fattore o su una funzione ora non più. Vent'anni fa, per esempio, perchè un'auto sportiva avesse successo bastava un buon motore, una eccellente tenuta di strada e una frenata pronta. Oggi non si vende se non è anche silenziosa, ricca di confort e con un alto livello di sicurezza. Quindi, lo sviluppo tecnologico è una delle armi più importanti, ma da solo non basta: ci vogliono anche costi competitivi, rete commerciale aggressiva, marketing innovativo, eccetera». - Quale ruolo ha avuto e può ancora avere la riorganizzazione delle imprese e le strategie di incremento della qualità delle fabbriche e dei prodotti? «Infiniti. E un processo senza fine: il cliente oggi non comprerebbe nessun prodotto di cinque anni fa. La qualità, appena raggiunge un target, è pronta per un altro scalino e per soddisfare le crescenti esigenze dei consumatori. Ogni volta che ci abituiamo ad un livello di qualità scopriamo una dimensione che non c'era, riteniamo che quella sia fondamentale e quindi stimoliamo continuamente le imprese industriali e di servizio a nuove sfide. Il problema è fare qualità su un prodotto nuovo, fin dalla sua nascita». ■ ILLUSTRATO ♦ APRILE 1995 6