TERZA PAGINA Le vie. omneti della competitività Mentre in Europa si parla di ripresa economica, l'Italia appare in ritardo rispetto ai partner. Per riguadagnare terreno occorre, così come si è fatto per Maastricht, porsi obiettivi concreti, sui quali mobilitare le energie del Paese Al convegno di Cemobbio, il presidente d'onore della Fiat, Giovanni Agnelli, ha affrontato il tema cruciale della com- petitività del nostro sistema-Paese. Qui di seguito pubblichiamo il testo integrale del suo intervento. Ancora una volta, ci interroghiamo sulle prospettive dell'Italia in questa fine di millennio. Ci chiediamo che cosa debba fare il Paese per mantenere la sua posizione e il suo ruolo di importante partner poli- tico ed economico in un'Europa sempre più integrata. Il contributo che vorrei portare a questo dibattito espri- me, naturalmente, il punto di vista e l'e- sperienza di un imprenditore. Da questo specifico punto di osservazione - e senza disconoscere gli importanti passi avanti compiuti dal Paese in questi anni verso comportamenti più europei -, mi pare che si possano fare alcune osservazioni. Proprio nel confronto con gli altri Paesi - che la moneta unica rende vincolante - avvertiamo co- me l'Italia si inserisca oggi nel contesto europeo portandosi dietro elementi di debolezza. Permangono, infatti, anomalie che il raggiungimento dei traguardi di Maastricht non ha cor- retto, e non poteva correggere. La prima riguarda l'instabilità politica. In nessun'altra democrazia europea il quadro politi- Sciogliere il nodo della competitività non è pro- blema che interessa solo le imprese, interessa tutti: go- verno, forze politiche, parti sociali e cittadini co appare frammentato come il nostro. Il numero di partiti che è addirittura aumentato rispetto ai tempi del proporzio- nale, rendendo gli schieramenti altamente vulnerabili alle mi- nacce provenienti dal loro stesso interno. La riforma del si- stema elettorale in senso solo parzialmente maggioritario non ha raggiunto l'obiettivo che pure si poneva. Non è stata cioè in grado di portare alla creazione di una vera maggioranza di governo capace di fare le proprie scelte e di assumere le pro- prie responsabilità potendo contare - come è avvenuto con Kohl in Germania - anche su un solo voto di scarto. Un'Italia più europea è anche un'Italia che in fatto di sta- bilità dei governi si dovrebbe porre sullo stesso livello dei suoi partner. Tra le grandi riforme cui è chiamata la nostra classe politica, quindi, appare urgen- te quella che deve condurre alla for- mazione di maggioranze durevoli e non soggette in continuazione a ri- schi di sfaldamento o di ribaltoni. La seconda anomalia italiana riguar- da la fragilità dell'economia. In un quadro europeo dello sviluppo cer- tamente non entusiasmante ma in ripresa, l'Italia continua a rimanere - come ha fatto per tutto il decennio - nelle retro- vie. Le previsioni dell'Ocse ci dicono che nel 1999 dovrem- mo crescere, se va bene, ad un ritmo dell'1,4 per cento, contro una media europea del 2,1 per cento. Nel 2000 le cose potrebbero migliorare ma non di molto. Lo sviluppo io