RTE DEL NOSTRO GRANDE CAPO Non sapremmo come meglio onorare la memoria di Giovanni Agnelli nel decennio della morte se non riproducendo questa com- mossa e commovente pagina che Don Pietro Ricaldone, Rettore Maggiore dei Salesiani, scrisse per il volume « I 50 anni della Fiat ». Tale scritto risale al 1950, ma in esso la figura del Sen. Agnelli ri- vive nel ricordo profondo del Sa- cerdote che gli fu amico e che lo assistette nell'ora estrema. •v _ s CONOBBE DON BOSCO Luglio 1940 - Con la consorte Donna Clara Agnelli Boselli di una glorificazione familiare e volle ri- cevere alla Fiat gli eminenti prelati, le personalità, gli ospiti convenuti numerosi a Torino dall'Italia e dalle più remote regioni del mondo. La grandiosità e la fine signorilità del- l'accoglienza non saranno dimenticate mai da chi ebbe la sorte di esser presente a quella manifestazione solenne. Era il mon- do intero, rappresentato da esponenti di eccezione, che, onorando la Fiat, ne avreb- be poi proclamato sotto tutti i cieli il gi- gantesco sviluppo. I! Senatore Agnelli allora parlò e. dopo aver ricordato agli ospiti i rapporti intimi che lo avevano legato a Don Bosco, si di- chiarò patriotticamente orgoglioso di dare il benvenuto nella Fiat agli insigni ammi- Più tardi, quando l'Ita- lia, già travolta nei gor- ghi del conflitto e ormai alla ipercè dello stranie- ro, era minacciata di ve- der decimate e traspor- tate altrove le industrie, non ancora smantellate dalle incursioni, un ram- marico non meno grave venne a trafiggere il cuo- re del Senatore Agnelli, già tanto provato da stra- zianti lutti familiari. Egli trepidava pensan- do che la caotica situa- zione politica e industria- le del nostro Paese po- tesse acuirsi al punto da privare di lavoro e di pa- ne i dipendenti Fiat e le loro famiglie. Questo pensiero, per lui in quei giorni il più tormentoso, gli velava il volto di mestizia: e le sue parole, pur sempre cosi sobrie e misurate, lasciavano capire che nel Senatore Agnelli il genio econo- mico non era disgiunto ai bisogni dei suoi simili. IN MEMORIA DEL FIGLIO E l'affetto suo all§. masse operaie egli volle rendere tangibile in un'opera tutta a vantaggio dei figli del popolo. Quando si abbattè come fulmine sul Se- natore Agnelli la tragica morte dell'ama- tissimo suo Edoardo, nel quale concentrava ogni speranza, egli non riusciva più a tro- vare conforto al cuore straziato. Passato ratori del grande apostolo della gioventù nel secolo XIX. E noi ricordiamo ancora, con mai af- fievolita ammirazione, la sfilata delle mac- chine nei reparti del Lingotto, la corsa sul- la pista genialmente e arditamente slan- ciata sulla terrazza delle colossali costru- zioni, il rombo degli aeroplani roteanti sul nostro capo in una ridda di acrobazie che rivelavano l'abilità eccezionale dei piloti. Le imponenti manifestazioni si ripete- rono, in forma ancor più grandiosa, nel 1934. Allora appunto il Senatore Agnelli si compiacque di riscontrare un gradito pa- rallelismo della Fiat con l'Opera Salesiana e le sue innumerevoli istituzioni sparse nel mondo. Anche le origini della Fiat, egli diceva, furono umili e faticose come quelle di Don Bosco; come Don Bosco la Fiat dall'Italia estese man mano le sue propaggini nel- l'Europa e nel mondo; anche la Fiat, co- me il grande Educatore, contribuì ad esal- tare il nome della Patria nostra presso tutti i popoli. qualche tempo venne a farmi visita per espormi un suo disegno. Aveva in animo di creare una istituzione popolare che, in- titolata al figliuolo, ne perpetuasse la me- moria: lo pregai di lasciarmi riflettere sul- la sua proposta prima di manifestargli il mio pensiero. «Torino — gli dissi poi — si avvia ad essere il primo e più potente centro indu- striale d'Italia. A Torino, ch'è la culla del- l'Opera Salesiana, convengono sempre più numerosi anche Figli, Allievi, Ex-Allievi, ammiratori, amici di Don Bosco. Penso che se nella nostra Città sorgesse un Isti- tuto Meccanico di carattere, oltre che na- zionale, anche internazionale, in esso po- trebbero educarsi, non solo soggetti nostri e del luogo, ma altri pure provenienti da ogni paese bramosi di completare la loro cultura e tecnica professionale. Ritornando alle loro terre porterebbero negli occhi la visione della grandiosità della Fiat e~ sa- rebbero ovunque efficaci divulgatori della GIOVANNI AGNELLI NEI RICORDI DI DON RICALDONE SENTIMENTO SOCIALE Quando, nel luglio del 1899, il Conte Emanuele Cacherano di Bricherasio, ex- ufficiale di Cavalleria — rapito prematu- ramente ai destini della Patria nostra — nell'aurea sala del suo palazzo di Via La- grange, circondato da un gruppo di audaci pionieri, firmò l'atto di costituzione della Fiat, di cui era stato geniale ideatore, aveva al suo fianco un altro aiutante uffi- ciale dei Cavalleggeri di Pinerolo, il gio- vane cav. Giovanni Agnelli. Nessuno forse potè supporre, in quell'ora storica, che, sotto la divisa del giovane e brillante uffi- ciale. fosse in ebollizione il genio organiz- zativo ed economico di chi avrebbe saputo condurre con sagacia e fermezza la na- scente industria a vette che nessuno a- vrebbe osato sognare. Anche il genio, come' il fiume, a volte straripa; ma, allora pure, le sue acque, ovunque giungano, portano l'humus della fecondità e della ricchezza. Sotto sembianze che poterono parer dure e talvolta travolgenti, nel Senatore Agnelli v'era una mente che escogitava potente- mente e senza posa lavoro e pane per ope- rai sempre più numerosi: ma più ancora vibrava potente d'una volontà, forgiata nel granito delle sue Alpi, che sapeva far sorgere imponenti le nuove costruzioni e più progrediti gli impianti, anche quando gli azionisti arroventavano contro di lui i loro strali per gli scarsi dividendi. Le vicende che, sotto i suoi occhi, eransi svolte in parecchie nazioni d'Europa, lo avevano persuaso che la violenza, sempre da lui deprecata, non conduce masse e popoli a vitali e durevoli rivendicazioni. Egli inoltre aveva potuto constatare da un accurato esame dell'industria nazionale e mondiale, che quando il capitale rifiuta di piegarsi ai dettami della giustizia eco- nomico-sociale, può causare terrificante esplosione atomica di ribellioni degene- ranti nel caos. Oggi penso che, nella sua viva aspira- zione di tutti accomunare nell'ambiente dell'ordine fattore di pace, inviterebbe ca-* pitale e lavoro a una vasta intesa azioni- stica che, affratellando dirigenti e dipen- denti in una collaborazione feconda, di- venga fonte di ricchezza equamente condi- visa nella prosperità e nella pace. E Don Bosco, come già a lui giovanetto, gli sorriderebbe oggi dal vagheggiato altare circondato di operai. Tra le famiglie ragguardevoli che, nella capitale storica del nostro vecchio Pie- monte, divinarono la grandezza morale dell'umile Sacerdote torinese, Don Bosco. — quand'egli, tutto consacrato alla gio- ventù e agli orfani, si adoperava, preve- nendo i tempi, per contribuire alla solu- zione della questione sociale col formare operai abili e onesti nelle sue Scuole Pro- fessionali e Agricole, — si distinse la Fa- miglia Agnelli. Il vecchio Senatore si compiaceva di raccontare com'egli, fanciullo, l'avesse co- nosciuto allorché i genitori lo invitavano a mensa: e parlava della sua bontà affa- scinatrice, il cui ricordo non gli si era mai spento nella memoria e nel cuore. Da questi fortunati incontri del giova- netto Agnelli con il grande educatore ebbe origine l'amicizia che mi strinse, come quarto successore di Don Bosco, a colui che, in campo diverso da quello del Santo, sarebbe divenuto egli pure gloria e vanto di Torino e d'Italia. Quando nel 1929 si svolsero nella nostra città, con solennità mai vista, le feste al Padre degli orfani, esaltato al fastigio de- gli altari, il Senatore Agnelli ne gioì come sua imponente produzione e meravigliosa attrezzatura ». Il Senatore annui con entusiasmo e ap- provò i piani. La magnifica creazione sa- rebbe già in completa attività, se non fos- se sopravvenuta, apocalittica e devasta- trice, la guerra. L'Istituto Internazionale Edoardo Agnel- li fu il sogno e l'aspirazione degli ultimi anni del Senatore. Quando assistè alla inaugurazione di una prima parte delle costruzioni sorrideva ai giovanetti di quella zona operaia, che lo ac- clamavano benefattore. In quella occasione, di tutto si dichiarò soddi- sfatto, fuorché della pur artistica icona del Crida rappresentante Don Bosco. Per lui il Santo dei giovani, degli orfani, del- le masse artigiane non doveva apparire, neppure nella gloria degli altari, separato dal suo ambien- te e da ciò che ne aveva costituito la caratteristi- ca e quasi una seconda natura. Passato qualche tempo incaricò ' l'insigne scultore Sen. Rubino di por mano a un progetto di altare per Don Bosco, e le sue visite allo studio del ce- lebre artista divennero in- solitamente frequenti. Un giorno m'invitò a vedere il bozzetto ch'egli aveva caro. La meraviglia e, perchè non dirlo?, il giubilo del mio cuore fu- rono grandi al contem- plare attorno a una bel- lissima statua di Don Bosco una figurazione di officine pulsanti di lavoro. « Ecco, — ripeteva con visibile compiacimento il Senatore — ecco come io concepisco Don Bosco : così lo voglio nella casa dei miei giovani appren- disti ». Era convinto che l'operaio, sotto la irradia- zione dei principi religiosi e sociali della Fede, senza rinunciare a nessuna del- le sue giuste rivendica- zioni. può sempre trovare luce di orientamento e forza di volontà per intese feconde e concrete. SERENO TRAPASSO La fibra robusta dell'amico non reggeva più ai duri colpi che ogni giorno si abbat- tevano sulla Patria nostra. L'intimità che ci univa mi diede forza per dirgli che il tramonto era vicino e ur- geva prepararsi. Il buon Senatore, anche LA GVERRA Frattanto si addensavano sull'Europa e sul mondo fosche nuvolaglie foriere di quelle tempeste apocalittiche, le quali a- vrebbero piombato l'umanità nel p ù im- mane conflitto registrato dalla storia. Quale fu il pensiero del Senatore Agnelli a tale riguardo? In ripetute conversazioni mi espresse tutto il suo rammarico per quella che egli considerava la più sconfortante delusione della sua vita. « Abbiamo creato la Fiat — diceva — perchè fosse vasto ed efficace coeffi- ciente di grandezza e prosperità per l'Italia e pel mondo. Ed ecco in- vece il nostro potente or- ganismo destinato scia- guratamente a diveni- re belluino strumento di distruzione e di morte». A questo pensiero, che gli avvelenava l'esisten- za, non sapeva rassegnar- si, onde nella intimità dell'amicizia mi comuni- cava che, anche quando l'imperativo di chi con- duceva la Nazione alla rovina non avrebbe vo- luto che produzioni bel- liche, egli aveva trovato modo d'introdurre in al- cune fabbriche ausiliarie la lavorazione di prodotti destinati, non a stermi- nio, ma a sollievo della Patria e dell'umanità. se distratto dal turbine degli affari, che ne avevano assorbito febbrilmente le attività nel corso della laboriosa esistenza, conser- vava in cuore il germe della fede avuta. Negli ultimi tempi, recandosi alla villa settecentesca di Villar Perosa. ove aveva avuto i natali, si compiaceva di assistere nei giorni festivi alla Santa Messa tra l'a- mata popolazione. Anzi, avrebbe voluto ri- cevere la Pasqua tra i fedeli di quella sua Parrocchia: ma il morbo aveva ormai ab- battuto il colosso. Gli fui ripetutamente al fianco, anche per recargli il supremo conforto di Gesù, che vuol essere nostro Viatico nel passag- gio dal tempo all'eternità. E nel riposo vero, procurato dalla Fede, chiuse la sua laboriosa giornata l'Uomo dall'attività prodigiosa. Era il 16 dicembre 1934 - Con Ford a Detroit. \